Che lingua si parla a India? Non è l'indiano, ma nemmeno il babelico. Una sintesi ancora forse non c'è, ma un ponte di parole è stato gettato.
Che lingua si parla a India? Non è l'indiano, ma nemmeno il babelico. Ho avuto modo di sentire alcune riunioni degli artisti coinvolti a perdutamente e si percepisce una lingua comune. Un processo nato dai mesi di confronto e scontro che ha portato le compagnie a immaginare la forma attuale che ha preso la Factory. A immaginarla tutt'ora, in realtà, perché ancora adesso questo strano oggetto che si chiama "Perdutamente" ha un'identità in continua mutazione, incerta, inquieta, ma proprio per questo finalmente abitabile. È una lingua comune, dunque, quella che stanno parlando gli artisti persi per il Teatro India, tanto che alle volte si fatica a comprendere del tutto di cosa parlino. Non perché non si capisce quello che dicono, o perché utilizzano una terminologia astrusa. Si parla però per scorciatoie lessicali, si usano termini gergali appena coniati, abbreviazioni, allusioni. Tutte caratteristiche di una lingua condivisa.
Ottenere questa condivisione non deve essere stato semplice. E difatti, nel trovarsi di fronte a questa ancor rozza koiné, ci si stupisce. La parola che viene alla mente è: sorprendente. Perché non era scontato. Anzi, quello che ci si poteva aspettare da una tale differenza di stili e provenienze, come è quella della compagine perduta tra le sale di India, è proprio una complessità irrisolta. Una fatica a trovare la sintesi. Ecco, forse la sintesi è ancora lontana da venire. Anzi, sicuramente. Ma questo lessico comune lascia intravedere la voglia di tentarla, e la disponibilità a farlo includendo gli altri nella loro diversità. Il linguaggio è sempre un ponte gettato tra mondi diversi. Quando i linguaggi si somigliano vuol dire che le sponde del fiume sono già meno distanti.
[musica consigliata per la lettura: Rivers of Babylon – Sinead O'Connor]