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Giovanni Azzaroni
Yoshitsune Senbon Zakura: un dramma straordinario
per un attore totale
Tradimenti veri o presunti, azioni eroiche o vili, sacrifici supremi o gesti nefandi, dedizioni assolute che travalicano i sentimenti personali, annullando ogni individualità, caratteristi del bushido (letteralmente, via del samurai), sono al centro dello splendido dramma jidaimono (dramma storico) Yoshitsune Senbon Zakura (I mille ciliegi di Yoshitsune), che, insieme con Sugawara Denju Tenarai Kagami (I segreti della calligrafia di Sugawara) e Kanadehon Chushingura (Storia esemplare di fedeltà vassallatica), esemplificazione paradigmatica dell'assioma fondamentale del bushido - la morte - è tra le più popolari, se non la più popolare, opera del repertorio kabuki.
Yoshitsune Senbon Zakura, scritto nel 1747 da Takeda Izumo II, Miyoshi Shoraku e Namiki Sosuke per il teatro bunraku (teatro delle marionette), andato in scena al Takemoto za di Osaka, e adattato l'anno seguente per il kabuki, è tratto dallo Heike Monogatari, cronaca storica che tratta delle lotta tra il clan degli Heike (o Taira) e quello dei Genji (o Minamoto) per succedere ai Fujiwara nel dominio del Giappone, momento fondamentale e imprescindibile, per le conseguenti implicazioni storiche, economiche e culturali, nello studio della storia del Giappone. Yoshitsune Senbon Zakura (il vocabolo zakura, ciliegio, presente nel titolo connota il coraggio e il valore marziali e definisce già i contenuti del dramma) si può strutturalmente dividere in tre parti intersecantesi, ciascuna con una vicenda autonoma, e che non presentano alcuna agnizione finale: storia di Yoshitsune, giovane di bell'aspetto e valoroso guerriero, amante della verità e della giustizia (nella drammaturgia kabuki questo tipo è codificato come nimaime, porta il kimono leggermente aperto davanti e rimboccato in basso), con scene di battaglia tra guerrieri che si comportano come animali; storia di un gruppo di fuggiaschi guidati dalla concubina di Yoshitsune, Shizuka Gozen, con protagonista lo spirito di una volta che ha più cuore degli esseri umani e ha assunto le sembianze di un guerriero, Sato Tadanobu, per rimanere vicino a un magico tamburo costruito con la pelle dei suoi genitori; storia di un servo fedele alla famiglia Genji, malvagio e infido solo all'apparenza.
La Compagnia Grand Kabuki di Tokyo, con Ichikawa Ebizo XI, presenterà la seconda di queste tre storie, probabilmente la più famosa e amata dal pubblico per la valentia che richiede il doppio ruolo di Sato Tadanobu - il vero Tadanobu e la volpe nei panni di Tadanobu - con la spettacolare e difficilissima scena danzata Shinokiri, vero e proprio banco di prova per le qualità di un attore.
L'opera è incentrata idealmente sulla figura dell'eroe guerriero Yoshitsune, che si batte per la difesa del clan Genji e dopo la vittoria è accusato di tradimento dal fratello Yoritomo, capo del nuovo governo militare di Kamakura. Yoshitsune, per difendersi, è costretto a combattere: la sua figura si staglia prepotentemente tra i contendenti in lotta, anche se non è il protagonista delle vicende che direttamente lo coinvolgono. Drammaturgicamente serve agli autori come momento di precisazione e di coagulo nel divenire degli accadimenti scenici. Yoshitsune è un eroe sconfitto, un topos della cultura giapponese, amato più dei vincitori perché, come direbbe Ivan Morris, la sconfitta è nobile. La poetica della sconfitta è presente nella vita e nelle arti del Giappone e la sua grandezza è emblematicamente teorizzata nello Hagakure, codice samuraico del XVIII secolo, impregnato di filosofia zen, che considera la vita un momento passeggero dell'esistenza.
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