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regia Antonio Latella
drammaturgia Federico Bellini
disegno luci Giorgio Cervesi Ripa
realizzazione scena Clelio Alfinito
realizzazione costumi Cinzia Virguti
con Francesco Manetti e Stefano Laguni
produzione Nuovo Teatro Nuovo
orari spettacolo
sabato 4 giugno ore 22.30
dal 5 giugno al 12 giugno ore 21.00
Siamo in una sala d'attesa o forse in una stazione ferroviaria, evocata dal suono di un campanellino che a tratti irrompe bloccando scena e personaggi, un tempo che disturba per paura di essere dimenticato. Infatti il tempo ora non esiste. Sul fondo si ergono due alte scale a muro, i cui gradini sono neon orizzontali che emanano luce psichedelica al suono del campanello, creando un disordine visivo spazio-temporale.
Gli spettatori sono invitati ad osservare il 'folle delirio' di due attori -Massimo Bellini e Stefano Laguni - che nella vita hanno scelto di non essere più attori, e che qui ci lasciano entrare a spiare il loro dolore esistenziale: una dura lotta tra il bisogno di normalità e la necessità di sfuggirle, scappando al galoppo per giungere nell'unico luogo dove l'irreale trova la sua poesia, il luogo della finzione per eccellenza: il teatro.
Entrano ed escono dal loro mondo inventato, su e giù per il palco in tuta e pantofole, come pazienti d'ospedale, si parlano decostruendo e ricostruendo grammatiche.
"La poesia non si tocca" è l'unica regola che ripetono più volte Don Chisciotte e Sancho Panza, fidato scudiero nonché razionale consigliere del cavaliere.
Niente di meglio del rifugiarsi nei libri per cercare di salvarsi dal dolore dell'esistenza.
Sono i libri, infatti, che irrompono nella vita del Cavaliere errante permettendogli di vagabondare nella fantasia, di combattere contro mulini a vento, burattini e greggi di pecore.
Una realtà fatta di parole, dalle più auliche alle più scurrili, che si svuotano, si smontano e si rimontano, parole che non hanno peso e che perciò possono essereliberamente dette, proprio come esemplifica Don Chisciotte dalla A alla Z in un delirio di verbalità erotomane, perdendo un po' di vista la regola della poesia, che Sancho cerca invano di ripristinare più volte.
Così Don Chisciotte chiede al suo compagno di viaggio di creare una storia, un'impresa avvincente in cui rifugiarsi per allontanarsi ancora una volta dalla realtà.
E quale strumento migliore per poterlo fare? Il dizionario italiano. Vocaboli sparsi, uno dietro l'altro, presi a caso, come a caso sarà scelta tra il pubblico la dama che il 'Cavaliere dalla triste figura' cerca disperatamente da quarant'anni, Dulcinea, e che lo scudiero "dona" al suo folle compagno, quasi a volergli dare un po' di conforto, seppur fittizio, con una donna che finge per qualche minuto di essere chi nonè. È il gioco delle parti, del "facciamo finta che...".
Uno scudiero-terapeuta per un cavaliere-psicotico. Lo spettacolo è all'insegna della schizofrenia, tutto è doppio e diviso in due: ogni cosa che accade in scena è vista da due lati, da una parte la realtà, dall'altra la finzione, due attori-non attori che cercano di sfuggire alla macchina teatrale, svelandone persino i trucchi del mestiere ("perché cosa fa un regista quando non sa che fare? Mette un nudo in scena!" e
completamente nudo resterà il nostro Don Chisciotte), trucchi di cui, allo stesso tempo, non possono fare a meno, nella vita come sulla scena, ritrovandosi così ad essere i protagonisti di un romanzo epico dal sapore barocco, tra illusione e realtà, che altro non ha che il sapore
dell'esistenza.