Lo sforzo dell'incontro tra le diciotto compagnie di Perdutamente, portatrici di altrettante esigenze, pensieri, necessità. Un panorama senza sintesi che però è in grado di produrre "gesti da ricordare"
L’altra sera Lucia Calamaro mi fa: “Ma mica vorrai fare l’apologia di perdutamente, con questo diario. Mica ce la possiamo raccontare che è tutto e sempre rosa e fiori, no?”. Obiezione mai peregrina e meno che mai quando giunge da una mente affilata come quella di Lucia con dovizia di considerazioni (no, scordatevelo, non ve le racconterò mai). E allora mi fermo a pensare sul senso del racconto che sto facendo o tentando di fare. Perdutamente ha una struttura “epica”, dal punto di vista narratologico, c’è poco da fare. Un gruppo di artisti, praticamente una generazione se non due, tutti accomunati da un’idea eroica di teatro e che sognano da tempo di trasformare l’India – lo spazio “perduto”, l’eden mai ritrovato – nel centro culturale dei loro sogni. Vista così, l’abitazione di India da parte delle 18 compagnie non può che suonare un evento mirabilante. E c’è un’eco di questa "situazione capitale" nell’ideazione titanica che c’è dietro agli eventi che apriranno India al pubblico: intere nottate di performance, mappature fisiche ed emozionali, coinvolgimento di 1000 persone, stravolgimento delle dinamiche abituali dello spazio. Come a dire: rovesciamo questo posto, rendiamolo più vicino ai nostri desideri, forziamo le dinamiche del consumo dello spettacolo in cui ci sentiamo stretti fin dove è possibile. Anche se non sappiamo dove ci porterà, sarà comunque un gesto eloquente. Un gesto che resta.
Già. Ma non è detto che questa eco così compatta e levigata come un bassorilievo da realismo socialista. Non è detto che tutti condividano l’idea titanica. Magari qualcuno vive la propria esperienza in modo diverso. Magari qualcuno India lo vorrebbe proprio così com’è, ma vorrebbe solo poterci stare dentro. Ora che accade, pur nell’eccezionalità del contenitore di Perdutamente, questo generico qualcuno preferisce semplicemente dedicarsi al proprio lavoro.
Sì è vero, ci sono visioni differenti tra le compagnie. Visioni ed esigenze difformi, persino contrapposte. Per questo si aggregano a gruppi su singoli progetti, invece di concentrarsi in un’orchestrazione comune. Perché forse non c’è orchestrazione possibile, ma solo assonanza e dissonanza. Anche nelle riunioni questo stridio ricorre incessante, periodico, corrosivo, come lo scricchiolio creato dalla frizione delle assi di legno di una nave in burrasca.
C’è conformità e difformità, e in fondo non c’è nulla di sorprendente in questo. Diciotto compagnie moltiplicate per una cinquantina di biografie, che con i laboratori e le collaborazioni forse superano il centinaio. È un panorama, sì, ma il panorama è composto da tanti elementi, persino in contrasto. In fondo, molti degli artisti nemmeno si conoscevano tra loro e l’hanno fatto qui per la prima volta. Ciò che davvero li accomuna è l’essere ai margini di un sistema, con un piede dentro alle volte – e non c’è da stupirsene, vista la qualità del loro lavoro – ma con un piede perennemente fuori. In molti casi non conoscono il teatro degli altri, qualche volta lo conoscono e lo detestano silenziosamente e in modo cordiale (ma c’è anche chi lo dice apertamente). Non c’è sintesi, se non una: l’etica del lavoro. Un lavoro tutto teso all’oggetto d’arte che sta nel nocciolo dello spettacolo, per il quale sono disposti a entrare in conflitto immediatamente – ma anche ad entrare in relazione.
Alcuni chiamano ironicamente “i politici” quelli che insistono sulla dimensione collettiva; gli “individualisti”, invece, sono percepiti come tali. E c’è anche chi è partito con una posizione defilata ed è finito, perdendosi per l’India, ad incontrare gli altri comunque, umanamente e artisticamente. Questo è già un segnale, anzi di più, un gesto. Che la permanenza in un luogo di produzione stabile, esteso oltre i mesi di Perdutamente, potrebbe trasformare in un fatto anche artistico e produttivo, senza nemmeno il bisogno delle eco titaniche.
[musica consigliata per la lettura: Ti regalerò una rosa – Simone Cristicchi]
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