«Art you lost?» propone – fino al 1° dicembre – un percorso lungo i corridoi del Teatro India, tra interazione e riflessione sui temi della cittadinanza, dell'identità, della memoria. I materiali raccolti diventeranno un'istallazione
«Art you lost?». Ti sei perso? Ma anche, allungando lo spettro semantico, l’arte che hai perso. Volgendo il verbo essere dell’inglese nel suo corrispettivo antico, l’ensamble di artisti che sta preparando questa singolare performance interattiva, riescono a concentrare in un unico interrogativo il tema della commissione – la perdita – e il tema del ruolo dell’arte, così centrale nella riflessione di tutti gli artisti coinvolti, che nella loro (relativa) marginalità rispetto al sistema ufficiale vedono le criticità di una temperie culturale che avvolge l’intero Paese.
Riccardo Fazi e Claudia Sorace dei Muta Imago; Roberta Zanardo e Luca Brinchi dei Santasangre; Matteo Angius degli Artefatti; e l’intera formazione de La Casa d’Argilla, composta da Lisa Ferlazzo Natoli, Alice Palazzi, Maddalena Parise, Monica Piseddu. Sono questi gli artisti che stanno dando forma al progetto «Art You Lost?», che ha l’ambizione di invitare ben 1.000 persone a fare un percorso artistico attorno ai temi della cittadinanza, dell’identità, della perdita, della memoria.
Impossibile raccontare il percorso senza svelare il meccanismo – e visto che fino al 1° dicembre «Art You Lost?» è un cantiere ancora aperto e accessibile a chi vuole attraversarlo, ci limitiamo a tracciare delle riflessioni più generali, descrivendo però il meccanismo. Si viene invitati da un’artista (nel mio caso Monica Piseddu) a seguire un percorso tracciato da una linea rossa, che attraverserà i corridoio di India, il magazzino, una delle sale. Bisogna seguire le istruzioni, distribuite in tappe, la prima delle quali precede lo stesso inizio del percorso: occorre presentarsi con un oggetto, un oggetto legato alla nostra vita, con una storia, che però siamo disposti a lasciare ad «Art You Lost?» per sempre. Sarà incluso nell’istallazione-presentazione dell’intero lavoro che avverrà a dicembre (e non ci verrà mai restituito).
Qui c’è già il primo elemento destabilizzante. Da quale oggetto, carico di memoria, siamo in grado di separarci con leggerezza? E se non è così gravido di memoria, perché abbiamo scelto di portare proprio quell’oggetto. La scelta è già un’operazione di attribuzione del senso: entriamo così nel percorso di «Art You Lost?» con una connotazione precisa, sia pure solo in base dell’idea parziale che ci siamo fatti del progetto. Che insiste, tappa per tappa, sul tema dell’identità.
Una rassicurazione per chi legge: niente, del nostro vissuto, ci viene chiesto in modo esplicito o coercitivo. Tutto avviene sulla base della predispozione di chi compie il percorso. Si può scegliere di essere dettagliati o generici, superficiali o profondi nelle risposte. E, volendo, si può scegliere persino di essere sinceri oppure di non esserlo (come, poi, di fatto sempre avviene nella vita). Perché in fondo l’identità è una composizione, e la sua scomposizione può essere sincera o elusiva esattamente come è – nella vita di tutti i giorni – il suo contrario.
C’è tanta memoria, dicevamo, in questo percorso. Memoria personale, evocazioni richieste e anche non sollecitate. Memoria privata che – grazie al dispositivo – diventa collettiva (o almeno si iscrive in una storia comunitaria, per generazione, per luogo di nascita e crescita, per l’incrocio di questi due fattori). Domande e riflessioni che scatenano un confronto col nostro io del passato. Il tutto in un’estetica raffinata, di luci che si accendono e si spengono al passaggio, secondo una drammaturgia di atmosfere sospese, che ricordano quelle di una fiaba metropolitana, con luci che si accendo da sole, telefoni che squillano, immagini che inevitabilmente affiorano.
Che c’entra il tema della cittadinanza? C’entra eccome, e per due motivi. Il primo è costituito da una delle tappe, in cui si viene messi a confronto con la città di Roma in modo sorprendente, dove l’azione del perdersi e del ritrovarsi si fondono in un unico gesto (che non sveliamo, fino alla fine della “chiamata”). Il secondo, più simbolico, è che la costruzione dell’identità, a vederla scomposta, si traduce in una serie di coordinate tracciabili lungo un’ascissa e un’ordinata che sono limpidamente collettive, storiche, comuni. E questo regala una circostanza precisa alle domande di questo percorso artistico, che siamo noi – gli invitati a intraprenderlo – a evocare in maniera del tutto indipendente dalla volontà di chi ha creato il dispositivo. «Art You Lost?», dove ti sei perso? In un tempo e uno spazio preciso, eppure non più quietamente collocabile.
[musica consigliata per la lettura: C'è solo la strada – Giorgio Gaber]
News
-
Visita spettacolo al Teatro India
-
Il compratore di anime morte
-
“L’eco der core” Roma com’era, Roma com’è nei testi e nelle canzoni di Roma
-
Visita spettacolo al Teatro India
-
Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa
-
Roma in versi
-
È nato il nuovo canale Instagram della Fondazione Teatro di Roma!
-
Teatro di Roma, nominato il nuovo Consiglio di Amministrazione
-
Il Teatro di Roma diventa Fondazione
-
Carta Giovani Nazionale
-
Art Bonus - Sostieni il tuo teatro!