Il lavoro "anti-spettacolare" di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini incontra Monica Piseddu. E cerca di costruire un modo di raccontare che ripensi il senso di stare in scena a parlare davanti a un pubblico
Loro definiscono il lavoro che fanno in prova “senza pelle”. Ovvero senza alcuna difesa se non quella delle quattro mura in cui il lavoro si svolge. Un lavoro più che nudo. Per questo, aggiungono, per scegliere di lavorare con qualcun altro occorre una fiducia totale. Loro sono Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, alle prese con le prove di un nuovo lavoro in cui hanno coinvolto un altro degli artisti di perdutamente, Monica Piseddu. Sarà un lavoro in linea con la cifra stilistica del duo romano, che nell’arco di tre spettacoli (Rewind, From A to D and back again, Reality) hanno rodato quello che potremmo definire un “linguaggio personale”, composto principalmente da due fattori: una recitazione post-drammatica, dove le differenze tra personaggio, attore e persona reale sembrano collassare fino ad annullarsi; e una drammaturgia che ruota attorno al confine della storia da raccontare, la slabbra, la rovescia, ma evita accuratamente di “impersonarla”, di restituirla in scena come finzione – dichiarando anzi all’interno della piéce tutte le impossibilità di “sceneggiare” i temi di cui si sta parlando. Era così in “Rewind” (che parlava dello spettacolo “Café Muller” di Pina Bausch) e in “Reality” (che ruotava attorno alla vicenda di Janina Turek, raccontata nel reportage di Mariusz Szczygieł); e dalle prove sbirciate in questi giorni sembra che questa innervatura la troveremo anche nel prossimo lavoro, che parte dalla prima immagine di un giallo dello scrittore greco Petros Markaris. Per l’esattezza parte dall’immagine iniziale del libro, dove quattro pensionate greche, che non riescono nemmeno più a comprarsi le medicine per via della pensione dimezzata, si tolgono la vita tutte insieme, per non dare ulteriore disturbo e lasciare i pochi soldi destinati a loro a chi ne ha più bisogno. Con delicatezza e dignità. Ancora un’opera nell’opera dunque, ancora una riflessione che parte da una costruzione, ma che per restituirla la squaderna, la attraversa per arrivare altrove.
Una delle caratteristiche costanti del lavoro di Daria e Antonio sembra sia il fatto di porsi delle domande sulla forma del “racconto” a teatro, sulla crisi della rappresentazione, sul cliché della forma spettacolo (ed è proprio Monica Piseddu, che con loro sta collaborando dalla prospettiva dell’attore, a definirlo un lavoro “anti-spettacolare”). Ma nel fare questo, Deflorian-Tagliarini non optano per soluzioni ad effetto, per una metateatralità sterile o per lambiccanti decostruzioni formali. Scelgono invece di includere nello stesso oggetto artistico la loro riflessione, trasformandola in una lingua scenica, in una sintassi spettacolare. In questo modo scardinano la forma dell’oggetto-spettacolo, la mettono in discussione, cercando però la via per dire ciò che vogliono dire.
Questa inquietudine sul patto comunicativo con il pubblico, questa sorta di pudicizia nel proporre una finzionalità ammiccante, è un’attitudine rara nel panorama della scena italiana, che Daria e Antonio condividono con quel mirabile autore di storie che si avvitano tra il dentro e fuori, approdando a mille finali im-possibili, che è Andrea Cosentino. Pur con forme e linguaggi differenti, il lavoro di Cosentino da un lato e di Deflorian-Tagliarini dall’altro sembrano animati dagli stessi interrogativi. Che non sono inediti in sé (in tanti hanno ragionato sulla crisi della rappresentazione), quando per l’utilizzo che questi artisti ne fanno. Se ne servono come un dispositivo di racconto, come una lingua per parlare, piuttosto che come strumento di auto-analisi della decostruzione in sé – che è poi uno dei vicoli ciechi in cui s’è arenata una vasta fetta di ricerca.
(Breve nota al margine: è davvero interessante vedere come Monica Piseddu si sta confrontando con questa lingua, che Deflorian-Tagliarini hanno affinato nel corso di una frequetazione artistica pluriennale; da attrice, ne ha colto subito il registro, caricandola però di una luce speciale, differente, che potrebbe davvero apportare un segno in più sulle scene scarne di Daria e Antonio. Sarà interessante verificarlo a lavoro concluso).
[musica consigliata per la lettura: You'll follow me down – Skunk Anansie]
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