La prima delle tre conferenze organizzate da Veronica Cruciani e Christian Raimo, per far dialogare letteratura e teatro, si è incentrato sul tema della "Perdita della Memoria", ospitando Lorenzo Pavolini e Sandro Portelli. A seguire alcune scene del nuovo spettacolo, basato sul nuovo testo di Michele Santeramo
Anche i silenzi possono parlare e anche l’oblio può essere un meccanismo del ricordo. È una visione dinamica, a tratti performativa, quella che Sandro Portelli, grande studioso delle storie orali, ha disegnato dell’arco della conferenza che lo ha visto colloquiare con lo scrittore Lorenzo Pavolini. Si tratta della prima delle tre conferenze organizzate da Veronica Cruciani con Christian Raimo, con l’obiettivo di far dialogare la letteratura contemporanea con il teatro contemporaneo raccolto nella Factory di India. Il tema dell’incontro era la «Perdita della memoria». E proprio sui blocchi della memoria e sui loro significati si è concentrata la riflessione di Pavolini, autore di un libro, «Accanto alla Tigre», dove racconta il suo rapporto con la figura del nonno, gerarca fascista ucciso a Dongo e poi appeso a Piazzale Loreto. Lorenzo, a 12 anni, lo apprende dai libri di scuola, perché in casa circolava una generica versione del “morto in guerra”. La rimozione, il blocco, la reticenza, sono strumenti di alcune generazioni per non parlare di un evento doloroso, luttuoso, vergognoso, impossibile da raccontare, che sconvolgerebbe la realtà così come è stata disegnata. Per la generazione successiva (quella di Lorenzo), invece la possibilità di fare i conti con quella storia, e così definitivamente archiviarla, risiede nel meccanismo della narrazione, del racconto, del renderla esplicita nell’atto della sua ricostruzione, dopo il blocco e la reticenza. Una vicenda simile la affronta anche lo scrittore Emmanuel Carrere – racconta Pavolini – che aveva un nonno che aveva collaborato coi nazisti e di cui la madre, finché era viva, gli impedì di scrivere.
L’atto del narrare è, anche secondo Portelli, il succo della memoria. Perché la memoria non è un accumulo di dati che pian piano si logorano, secondo lo studioso, quanto un processo vivo al quale possiamo partecipare più o meno coscientemente. Ma non possiamo non prendervi parte. Per questo, secondo Portelli, anche i silenzi e gli oblii sanno parlare, hanno a che fare con l’opera selettiva della memoria. Perché la memoria è come un organo involontario, che non può smettere di funzionare. La metafora, ancora più affilata, che porta Sandro Portelli viene da una poesia di Emily Dickinson, dove la scrittrice la paragono a una pianta: se non coltiviamo la mostra memoria, saremo invasi da memorie altrui, magari peggiori e dannose.
La chiusura della conferenza è affidata a un’inedita collaborazione con Michele Di Stefano di MK, che ha invitato una ragazza rumena a presentare un ballo tradizionale del suo paese. Cosa c’entra? Violetta è in Italia per lavorare e in questo momento si sta occupando di assistere un anziano malato di Alzheimer (“Alzheimer mon amour” è anche il titolo del laboratorio di Veronica Cruciani). Parte la danza e poco dopo si uniscono a lei alcuni membri degli MK: la danza tradizionale rumena diventa di colpo una coreografia di danza contemporanea. Allo stesso modo il fondale si apre e, mantenendo il diaframma dei un telo trasparente che divide la scena, vediamo il fondo lungo della sala di India invaso da danzatori. Di colpo la conferenza è sprofondata in una performance coreografica, segnalata anche dal rumore gonfio ma calmo della giungla che accompagna molti dei lavori di MK sul turismo.
A seguire è stato presentato uno studio del lavoro condotto da Veronica Cruciani sul testo di Michele Santeramo, «Il giorno del signore», che racconta la storia di un anziano capo mafia che perde la memoria, perdendo così lucidità e rischiando di essere soppiantato dal figlio che non vuole che si sappia della malattia del padre, pena la perdita di potere della famiglia. A interpretare don Mattia un ottimo Fabrizio Parenti, che nella scena scarna composta dallo stesso tavolo della conferenza, con le persone ancora sedute sul palco a semicerchio, da corpo alla malattia del vecchio mafioso. Ne vediamo solo qualche scena, ma il testo è di grande spessore, con punte sia tragiche che comiche, e gli attori danno una prova convincente.E affascinante è vedere una scena impiantata nell’alveo di una conferenza, con gli attori che per uscire di scena si siedono dal pubblico, come nelle prove aperte delle accademie. Ma qui non siamo in accademia, siamo in un contesto di ragionamento e dibattito dove arte scenica e arte oratoria convivono felicemente e si compenetrano.
News
-
Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa
-
Roma in versi
-
È nato il nuovo canale Instagram della Fondazione Teatro di Roma!
-
Visita spettacolo al Teatro India
-
Teatro di Roma, nominato il nuovo Consiglio di Amministrazione
-
Il Teatro di Roma diventa Fondazione
-
Carta Giovani Nazionale
-
Art Bonus - Sostieni il tuo teatro!