Più che uno spettro, sono cadaveri ambulanti quelli che si aggirano; e non per l'Europa, ma per l'India. Sono gli zombi di Daniele Timpano ed Elvira Frosini. Mentre il Divertimento di Federica Santoro si scinde in tre, con una sua performance solitaria e due assolo musicali di Sebi Tramontana e Luca Tilli.
20. Tre piccoli “divertimenti”
Accanto al progetto più grande ideato da Federica Santoro assieme a Luca Tilli e Sebi Tramontana attorno al tema della perdita dell’amore, i tre performer hanno realizzato tre differenti performance in cui – ognuno nel suo specifico – proseguono la ricerca iniziata con «Divertimento». Tre assoli, per dare sfogo alla propria vena creativa prima di incontrare il linguaggio altrui e la sintesi scenica dello spettacolo. Nel caso di «Divertimento_minore», Luca Tilli propone un vero e proprio concerto breve, posizionando il suo violoncello al centro del salotto di divani rossi e tappeti creato nel mezzo del foyer. Quasi un’esecuzione da camera, se non fossimo nel mezzo di una navata d’archeologia industriale che ricorda un hangar: ed è questo attrito tra il grande spazio della sala e la dimensione raccolta del concerto a dare una delle temperature della performance. Che è una sapiente miscela d’improvvisazione e melodia, capacita di “attrarre” e “trattenere” all’ascolto e fuga verso l’inesplorato, l’improvviso; due anime che Luca Tilli sa accarezzare indistintamente e pizzicare assieme alla corde del suo violoncello.
Anche Sebi Tramontana propone la sua performance, «Divertimento_ when I was a windy boy», nel mezzo del foyer. Ma nel suo caso a stare fisso al centro del salotto sono i suoi schizzi, disegni, abbozzati e compiuti, che il musicista siciliano ha voluto fissare alla parete, affastellandoli come posti-it, come pezzi di pensieri e appunti di riflessione che si sommano fino a formare un quadro più grande. Un fondale suggestivo per una performance mobile, in cui l’assolo di trombone veniva letteralmente seguito dal suo esecutore, seguito a piedi, camminandoci dietro e attorno, come a trattenere uno strumento sempre in perenne fuga in avanti, di dietro con la bocca e davanti col tappo della sordina. Un assolo trascinante e onirico, in grado per un momento di trasformare il foyer di India in un altrove senza altri riferimenti se non il vagare del suono.
Federica Santoro sceglie invece il corridoio dietro le sale principali come teatro della sua performance, «Divertimento_l’altra casa». Seduta a una sedia, agitando ossessivamente uno scacciamosche rosso, con una pettinatura cotonata che le tiene su i capelli in un groviglio medusesco, accanto a lei un comodino antico, Federica Santaro si lancia in un delirio ossessivo dove vorticano furiosamente vari piani di ansie quotidiane, dalle faccende domestiche alle frustrazioni sentimentali. “Non esiste più il vero amore”, esordisce, mentre allo stesso tempo agita lo schiacciamosche e si domanda se passare l’anti-tarme sull’armadio antico, di legno chiaro-scuro-scuro-chiaro. Attorno a lei lo spazio è delimitato da due neon, che formano i limiti di un’ipotetica scena trapezoidale. Sembra non ci sia pace possibile nei brandelli d’ossessione amorosa dipinti da Federica Santoro, oscillanti come sono tra la delusione sentimentale e la compulsività dell’isolamento. Eppure, se ancora inseguiamo questa forma di malattia c’è una ragione, e risiede nell’irruzione dell’imprevisto nella nostra esistenza, un’irruzione destabilizzante ma che può essere salvifica. “Gli incontri che faccio durante queste passeggiate – dice Federica verso la fine – riesce ad attirare a me un po’ di ignoto”.
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21 – Zombitudine prima
Sono stati il leit motif di Perdutamente. Una mandria di zombi che ha invaso a più riprese il Teatro India. Ma niente paura: gli zombi in questione non sono usciti da un film di Romero, non hanno parti di viscere che penzolano sconsideratamente dalle loro ferite e neanche mordono nessuno. Arrivano, invadono, sembrano volerti annusare, forse mangiare, ma poi proseguono nel loro cammino, con gli occhi vitrei e le loro braccia e gambe disarticolate dal rigor mortis eppure mobili e andanti. Sono il risultato del lavoro di Elvira Frosini e Daniele Timpano, «Zombitudine – la morte è una cosa meravigliosa», laboratorio condotto dai due atutori-performer sul tema dei non-morti e di ipotetiche resurrezioni. Tutto materiale che dovrebbe confluire in un futuro spettacolo dal titolo «Zombi 2» (come un noto b-movie, ma anche perché due sono Elvira e Daniele). E di materiale ce n’è tanto e di diverso tipo. Si comincia con un istallazione nel foyer di India, «Talking zombi», dove in un’improbabile confessionale in velluto rosso, con tanto di croce sullo sfondo, si può ascoltare in video le improbabili confessioni degli zombi (ovvero dei partecipanti il laboratorio), che raccontano come è cambiata la loro vita – o meglio, la loro non-vita – dopo essere morti e resuscitati come cadaveri ambulanti: discorsi improbabili in un improbabile confessionale che ricorda quello del Grande Fratello. D’altronde lil pantano della cultura di massa è uno dei tratti costitutivi degli zombi di Frosini-Timpano, che sono dunque una metafora nemmeno troppo sottile del rimbecillimento generale. I non-morti, infatti, vagano per il foyer di India con in mano prodotti di largo consumo rigorosamente nazionali (pasta Barilla, birra Peroni, panettoni e preservativi), sono vittime del consumo compulsivo esattamente come noi. E il tema dell’identità nazionale – già esplorato da Timpano nei suoi precedenti lavori “politico-cadaverici” come «Dux in scatola» e «Aldo morto» – è un altro dei tratti costitutivi di questo «Walking zombi». In una delle performance, «Presepe morente», i non-morti formano un’improbabile quadretto natalizio rovistando tra regali e lucine di natale, accatastandosi tra di loro e ricoprendosi di oggetti – proprio come nelle scene del centro commerciale in «Zombie» di Romero. Parte in sottofondo l’inno di Mameli, che lascia intravedere un’idea mortifera e in via di decomposizione di questa identità nazionale macerata nel consumismo. E il riferimento alle “putrefatte retoriche patrie” prosegue anche in un’altra performance, «Nazionale zombi», dove una mandria di non-morti si lancia nel più trito dei cliché italioti: il calcio. Ma i riferimenti al film culto di Romero del 1978 non sono finiti: spesso gli zombi, prima di entrare nel foyer, si ammassano sui vetri dell’ingresso, battendo le mani e guardando noi vivi chiusi dentro con uno sguardo che è un impossibile misto di bramosia e vuotezza. Ma, a differenza della famosa scena al supermercato, qui gli zombi al collo portano vistosi cartelli di protesta – e il riferimento all’italianità si tinge di colore politico, precisamente rosso. «Dittatura funeraria!», «Più carne per tutti», «Lutto continuo» affrescano una distorsione zombesca dei calssici slogan della sinistra extraparlamentare – e c’è persino un «Com’è zombi la prudenza» che si richiama a esperienze più vicine, come il Valle Occupato. Daniele Timpano, vestito da prete, grida al megafono gli slogan deambulando disarticolato e rigido come i suoi zombi. Di colpo la zombitudine diventa la “moltitudine” del pensiero di Toni Negri, e nello strampalato corteo improvvisato collassano i segni della protesta e del conformismo: non c’è salvezza, sembrano dire Frosini e Timpano, sono zombi le masse massificate dal consumo e dai mass media, e sono masse massificate quelle che si pretendono avanguardia politica. Distruzione di massa e distrazione di massa; una distrazione che giunge fino all’estrema ottusità dello zombi. Tutto viene fagocitato dal buco nero del nostro presente, quindi, dove i segni non hanno più la coerenza che avevano nel Novecento, ma si rimpallano nella stanca e poco convincente contrapposizione di due conformismi opposti – quello integrato e quello antagonista – che fluttuano però nel medesimo angolo in decomposizione della Storia.
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