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TEATRO ARGENTINA
Formarsi alla comunicazione delle arti e del pensiero
Il Teatro di parola di Haim Baharier
Tre appuntamenti domenicali, dalle 11.00 alle 12.30
Teatro Argentina | Sala Squarzina
FORMARSI ALLA COMUNICAZIONE DELLE ARTI E DEL PENSIERO
Il teatro di parola di Haim Baharier
ingresso libero fino ad esaurimento posti disponibili
scrivendo a community@teatrodiroma.net
entro le ore 17.00 di venerdì 7 novembre .14
Tre appuntamenti domenicali, dalle 11:00 alle 12:30, tre lezioni con Haim Baharier.
LEZIONE 1: Domenica 9 novembre
PERCHÉ MAI SOFFERMARSI DINANZI A UN’IMMAGINE?
Come costruire dentro di noi la consapevolezza che nessuna immagine riproduce all’identico una realtà già esistente. Persino un semplice raddoppio, una fotografia, non è mai innocente. Diventa presa di distanza, scarto necessario per esplorare significati nascosti.
LEZIONE 2: Domenica 16 novembre
MA LA MUSICA È SEMPRE LA STESSA?
L’arte è un incontro, all’insegna della reciprocità. Nella musica l’esperto ascolta e tanto gode delle sinfonie, tanto gode delle sintonie o delle distonie della partitura. Un pubblico poco colto riceve meno? È soltanto in difetto? Esiste un linguaggio che trascenda la cultura artistica?
LEZIONE 3: Domenica 23 novembre
STORIA E MEMORIA SU PALCOSCENICO
Che il teatro sia storia e memoria insieme lo sa bene il regista, a teatro per passione e per mestiere. Sul palco, come su di un‘arca, egli salva e traghetta le emozioni e il sentire di questa storia e di questa memoria fino a noi, uomini di oggi. Ma cosa dovrebbe condurre noi spettatori a teatro? È sufficiente la consapevolezza di questa personalissima opera di salvataggio?
Perché un pensatore, un ermeneuta biblico come me accetta di parlare di arte?
Tutto nasce da una scommessa folle ma spontanea che ho lanciato al direttore del Teatro Argentina, l’amico Antonio Calbi, che altrettanto follemente ha accettato.
Si tratta di suscitare in un pubblico non necessariamente attrezzato un’attrazione fatale per il mondo dell’arte. In che modo?
In gioventù ebbi un incontro ravvicinato con l’opera di Marc Chagall. Da subito, delle sue tele mi impressionò un’apparente contraddizione: personaggi umili, periferici, che però volavano. Nei tratti e nei colori costoro emergevano caratterialmente, spiritualmente e socialmente vicini alla terra, però si elevavano. Terrestri e selenici al tempo stesso.
Ciò che oggi mi spinge a parlare di arte è questa idea, così radicata nella mia tradizione: che l’arte non è un totem, una musa tra le muse. È un pane quotidiano creato da qualcuno di noi, da un uomo chiamato artista che abita insieme a noi nelle periferie della creazione. Ed è questa condizione da claudicante che gli permette l’elevazione.
La mia ermeneutica mi insegna che le cose più importanti sono sempre periferiche. Anzi, che l’essere periferico è condizione sine qua non di profondità.
L’arte parla a ciascuno di noi con un linguaggio sempre diverso ma sempre flebile, non aggressivo. Le sue forme possono essere imponenti, ieratiche, veementi ma mai veramente uniche, centrali, monocordi.
Credo che l’arte possa rappresentare oggigiorno anche il mezzo per superare i monolitismi delle religioni, gettare ponti sulle divisioni ritenute inconciliabili. In quale maniera? Ritengo che il sentimento religioso più autentico si esprima soltanto all’interno di un percorso identitario. E che cos’è l’arte se non un percorso identitario?
Ecco, credo che occorra ripensare ai simboli, ricostruire un glossario, rifondare un linguaggio nuovo per l’arte… è quello che proverò a fare nelle mie tre lezioni al Teatro Argentina di Roma.
Haim Baharier
L’espressione artistica ha una sua periferia, un suo alone impalpabile che ne costituisce il linguaggio: l’opera dialoga con il suo fruitore, con l’artista che si radica in ciascuno di noi. Lo si intuisce quando dinanzi all’opera, seduti in un teatro o in una sala da concerti, non ci sentiamo più semplici spettatori ma attori di un’esperienza. ‘Un uomo parla a un uomo’, diceva Beckett riguardo al teatro.
Purtroppo deroghiamo da questa felice intuizione quando consideriamo le arti soltanto in termini di fuga dalla quotidianità, di distanza dal contingente. Spesso esitanti, invece che di accostarci umilmente all’arte, seguiamo le mode e subiamo i dettami degli artisti di nome e di fama. Accettiamo mediatori a cui deleghiamo il compito di mostrarci le ripercussioni dell’arte nella nostra vita, ignari che questa mediazione si sostituisce al linguaggio dell’arte. L’opera rimane muta; ostacolata, le è impedito interagire con il nostro mondo artistico interiore.
Diventa pertanto urgente e doveroso ripensare e ricostruire insieme il linguaggio artistico; liberare l’opera d’arte irretita dal gergo artistico dominante.