di Luigi Pirandello
regia Federico Tiezzi
drammaturgia Sandro Lombardi
con Sandro Lombardi crotone, Iaia Forte ilse, Silvio Castiglioni il conte, Marion D'Amburgo la sgricia, Massimo Verdastro cromo, Debora Zuin diamante, Alessandro Schiavo quacquèo, Ciro Masella spizzi,
Clara Galante mara-mara, Andrea Carabelli milordino, Aleksandar Karlic duccio doccia
scene Pier Paolo Bisleri
costumi Giovanna Buzzi
luci Gianni Pollini
Teatro di Roma - Compagnia Lombardi -Tiezzi
orari spettacolo
martedì, mercoledì, venerdì, sabato ore 21.00
giovedì, domenica ore 17.00
lunedì riposo
“…noi, Contessa, siamo agli orli della vita...”
Sul finire dell'esistenza, Pirandello segna con
I Giganti della Montagna
il suo dramma più arcaico: misteriosi elementi fantastici si intrecciano a caratteri di fiaba; elementi della vita si trasfigurano nel ritmo teatrale delle visioni, fino a spingere i protagonisti-attori a chiedersi dove sia la verità. “È nella magia del teatro” risponde il mago Cotrone; “È in noi e nella nostra struttura interiore” risponde più misticamente la Contessa.
Ma noi sappiamo che mettere in scena questo testo oggi, significa soprattutto legarlo alla contemporaneità, alla società attuale, alla nostra storia. E alla storia martoriata di una terra come la Sicilia. Significa anche non dimenticare che, pur trattandosi di un
Mito, i Giganti della montagna
raccontano delle concrete storie di esseri umani.
Con
I Giganti della Montagna
Pirandello delinea una visione profetica della situazione nella quale il teatro si trova attualmente: marginalizzato da forme più tecnicamente sofisticate di spettacolo ma non per questo indebolito nella sua potenza comunicativa. I Giganti sono metafora del potere nella sua nuda crudezza: hanno gli strumenti per controllare e manipolare (
omologare
avrebbe detto Pasolini) le coscienze.
Ilse, la Contessa, si oppone a quest'uso distorto dell'arte dello spettacolo e, avversando ogni forma di spoeticizzazione del teatro, resta inevitabilmente sconfitta nella sua idealistica e inattuale intransigenza. Ilse rifiuta di cercare una forma di contatto col pubblico che non sia la purezza dell'espressione dei sentimenti. Il suo sapere scenico e la sua sensibilità di attrice potrebbero indicare il ruolo del teatro in un mondo smarrito e svuotato: quello di riproporre il mistero e la capacità di pensare individualmente a una civiltà che ha abdicato a entrambi. Ma nello stesso tempo, sembra voler dire Pirandello, la sua è una battaglia contro i mulini a vento, nella quale Ilse dimentica la necessità di uscire dalla solipsistica venerazione della poesia per cercare un contatto col mondo esterno, quel contatto che è la ragione stessa del teatro e che, inevitabilmente, deve evolvere di pari passo col mutare dei contesti storici, senza che questo significhi necessariamente un suo degrado.
I Giganti e Ilse sono destinati a scontrarsi, e il popolo “omologato” a cui lo spettacolo viene destinato, a sbranare gli attori. Tra i due poli in contrasto si pone la figura di Cotrone (un po’ Prospero e un po’ Pirandello stesso, un po’ Mago Cipolla e un po’ Serafino Gubbio); a lui e al suo pensiero “per immagini” Pirandello affida forse una risposta alla crisi dell'arte scenica: il teatro è per coloro che sono disposti a prendere atto del mistero della vita, senza tuttavia temere di accogliere le trasformazioni della realtà e della società, a saper evolvere nel proprio modo di fare teatro così da essere ancora in grado di comunicare, pur senza tradire i principi morali ed estetici su cui si fonda il mistero stesso del fenomeno teatrale.
Eccettuati pochi illuminati, Pirandello venne considerato in vita più un
filosofante
che un artista, più un pensatore capace di inventare spietati grovigli psichici che un creatore di intrecci scenici. In realtà, in piena consonanza con i contemporanei rinnovatori del teatro (Appia, Craig, Cechov, Stanislawski, Reinhardt), Pirandello seppe dire una parola originale e unica. Nella sua "stanza della tortura" (così Giovanni Macchia definisce felicemente il nucleo del teatro pirandelliano) si mettono a nudo gli esseri umani, i loro sogni, i desideri, le sconfitte, i rimorsi, le rivendicazioni impossibili o, come nel caso dei
Giganti della Montagna
, il conflitto tra arte e vita, tra umanesimo e mutazione antropologica. Questo non resta tuttavia sul piano astratto del pensiero, incarnandosi al contrario in personaggi e vicende umanissime e toccanti.
Ultimo testo, e incompiuto,
I Giganti della Montagna
affonda le mani in alcuni interrogativi: cos’è l’arte? quale è il linguaggio che può più di ogni altro combattere l’omologazione e scardinarla? Il teatro? il cinema, la televisione? E qual è il ruolo dell’arte in una società che ha dimenticato la classicità, l’antichità, la polis e soprattutto i segreti della comunicazione teatrale?
Ponendosi queste domande Pirandello lascia aperto lo spazio a risposte che lo spettatore dovrà trovare da solo. Infatti non tutto si conclude sulla scena, e noi spettatori, abbandonato il teatro, dovremo continuare a cercare la verità.
C’è quella di Cotrone: la salvezza è nel fluire delle immagini... C’è quella di Ilse: la salvezza è nella sacralità della poesia... E se avessero ragione i mostruosi Giganti dediti, secondo le parole di Cotrone, all’esercizio della forza in un mondo lacerato e in crisi ma non privo di opportunità? Certo è dal conflitto tra queste tre diverse posizioni che nasce la magia e l’attualità di questo testo.
Lo spettacolo la racconterà utilizzando una fusione di linguaggi: recitazione, musica, arte visiva, cinema, danza saranno gli elementi intorno ai quali girerà il lavoro degli attori e del regista. Un Pirandello giocato secondo i colori e le visioni del Fellini di
Otto e Mezzo
e della
Dolce Vita
e quelle letterarie del Pasolini di
Petrolio
e degli
Scritti Corsari
.
In un momento in cui la società dello spettacolo sembra voler progressivamente marginalizzare il ruolo del teatro, è con l'intento di ribadirne la centralità e l'insostituibilità culturale che ci rivolgiamo ai
Giganti della montagna
, che proprio al teatro innalza un canto d'amore appassionato e struggente: un teatro che, con intuizione profetica,Pirandello già vedeva minacciato nella sua natura più intima e più legata alla tradizione squisitamente italiana: un teatro di mirabolanti effetti scenici ottenuti con poveri mezzi da un lato, e dall'altro un teatro la cui sostanza profonda fosse la verità umana dei suoi 'personaggi'. "Una delle ragioni dell'attualità di Pirandello", scrive Giovanni Macchia: "sta anzitutto nell'aver affrontato la crisi del teatro e averne allontanato la distruzione". Questa è l'eredità che lo scrittore e drammaturgo siciliano lascia a ogni uomo di teatro di oggi:raccogliere l'impegno ad affrontare la crisi del teatro (senza nascondersi dietro patetiche quanto illusorie finzioni che questa crisi non ci sia), e allontanarne la distruzione. La vitalità del testo sta nel lasciarne germinare la poesia proprio a partire dalla consapevolezza della sua fragilità, e della fragilità degli esseri umani che al teatro dedicano la vita.
Federico Tiezzi curerà la regia del lavoro, con la collaborazione drammaturgica di Sandro Lombardi che ne sarà anche interprete nel ruolo di Cotrone. Un luogo psichico più che naturalistico è per Tiezzi la dimensione favolistica ideata da Pirandello per l'incontro quasi mitologico tra laCompagnia della Contessa e quella degli Scalognati. Tiezzi intende usare il testo pirandelliano come una sorta di archetipo attraverso il quale scendere nei meandri più profondi dei meccanismi del teatro,delle sue suggestioni, dei suoi fasti e fallimenti, dei piaceri e deidolori con cui esso irrompe nelle vite di chi vi si dedica.
Prima rappresentazione
Roma, Teatro Argentina, 3 novembre 2007