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Gleijeses e Beckett, nuovo e antico
di Franco Quadri
C'era qualcosa di nuovo, anzi d'antico, nel gesto di Lorenzo Gleijeses, napoletano e giovanissimo figlio d'arte, che all'inizio del secolo andava in Danimarca a cercare un suo modo d'esprimersi nel rigore dell'Odin Teatret. E dopo che, con la guida di Julia Varley, inglese cresciuta a Milano, aveva dimostrato capacità di prim'ordine tre anni fa interpretando quel suo Amleto partenopeo alla ricerca della madre che ancora si replica, si è di nuovo rivolto alla sua guida di maestra con la proposta precisa di fare uno spettacolo non di Beckett ma su Beckett, che non puntasse sulla vita e sulle parole del grande Samuel, quanto sul suo modo estremo di vedere e rappresentare l'umanità. E a far da guida ecco allora il famoso saggio di Gilles Deleuze che appioppa al personaggio-base dell'opera beckettiana il termine esausto, attingendo nel contempo a scritti congeniali di altri scrittori, o dalla poesia in cui Nazim Hikmet racconta il naufragio di un africano solo in barca ad affrontare l'Atlantico e morirvi, recepito nel titolo definitivo dello spettacolo, L'esausto o il profondo azzurro, determinando in modo sostanziale la svolta coloristica impressa dalla regista all'ultima parte. Ma sono esseri interdipendenti, tesi dal principio alla fine a trovare un rapporto alla reciproca inesistenza, i due, chi a turno dice io e la sua ombra, condannati all'autonegazione e in perenne movimento, specchiandosi l'uno nell'altro e odiandosi come due fidanzati, due copie tese a una perenne fuga che si esaurisce lì per lì, in una mancanza di situazione generatrice di continui sviluppi visivi, movimenti ritmici di grande forza espressiva che contrappongono il biondo bravissimo Gleijeses e il bruno Manolo Muoio, un ottimo danzatore che dimostra di sapere usare benissimo la voce. Con pochissimi oggetti in una scena vuota, "lo spazio si fa tempo"; i settanta minuti di spettacolo sono tutti da guardare e, pure da sentire con quelle fughe nostrane che incorporano la nuttata da passare di Eduardo e un ritornante canto popolare siciliano a sorreggere due personaggi intenti a chiedersi se hanno un senso. Pubblico giovanissimo e grande successo.