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Corriere della Sera, 4 novembre 2007
«Il mercante di Venezia» nell' allestimento del regista 33enne a Parma
Civica, una frugalità rivoluzionaria
Come ha fatto notare Antonio Baudino sul Sole, Massimiliano Civica, 33 anni, è un' eccezione nel panorama del teatro italiano. Può indicare il principio di un rinnovamento. Nominato direttore del teatro della Tosse di Genova, non produrrà né quest' anno né mai un suo spettacolo. Perché? gli ho chiesto a Parma, dove l' ho incontrato. «Perché - mi ha risposto - a Genova voglio fare altre cose, voglio un buon cartellone, voglio insegnare, non voglio sottomettermi alla dominante logica dello scambio». Frugalità assoluta, dunque. Giorni fa parlavo di Piero Maccarinelli del quale, a Roma, risultano in scena o previsti tre o quattro spettacoli nel giro di una mezza stagione. Gli spettacoli di Maccarinelli sono prodotti da enti pubblici e privati. Ci si chiede il motivo di tanta attenzione nei confronti di un così modesto regista. Ma Civica è un esempio non solo rispetto a Maccarinelli. Lo è anche rispetto a registi qualificati, da Ronconi a Latella, i quali con i loro prodotti invadono i nostri palcoscenici. Ciò in cui Civica non è affatto frugale, anzi bulimico, è il modo di accostarsi a un testo. De Il mercante di Venezia ha confrontato 32 versioni: la peggiore è quella di Gabriele Baldini, la migliore quella di Agostino Lombardo. Lui, va da sé, per il suo Mercante si è servito di una propria traduzione con la quale torna, come era stilisticamente inevitabile (pensando ai primi spettacoli) la sua frugalità. Frugale, asciutto, quasi laconico Civica lo è in assoluto. A partire dagli attori che sono solo quattro: la giovanissima Elena Borgogni; Oscar De Summa, che avevo visto in un suo Riccardo III; e i bravissimi Mirko Feliziani e Angelo Romagnoli. Costoro, per i personaggi secondari, indossano maschere di lattice. Ma tendono alla scarnificazione interna anche dei personaggi principali che ciascuno di essi interpreta: nell' ordine, Porzia, Bassanio, Antonio e Shylock. Qual è, per Civica, il punto? Formalmente, lo stesso che nel precedente La Parigina di Becque (anche se Shakespeare non è Becque, i rischi sono dunque maggiori): ridurre il tasso di espressività al minimo, tutti parlano nello stesso modo, tutti parlano a bassa voce, sembra che si succedano in una litania, quasi in una preghiera. Spesso si affrontano a tu per tu, due per volta. Gli altri due si siedono, a vista; come, a vista, velocemente trasformano le proprie fisionomie senza uscire di scena. Ciò che risulta subito evidente, anzi rivoluzionario, è quanto Shylock non sia il protagonista, ma uno tra i tanti, o tra i quattro. Altrettanto chiara è la dinamica che lega gli altri tre. Antonio ama Bassanio, Bassanio ama Porzia, Porzia non ama nessuno, o forse se stessa, il suo potere, la sua ricchezza. L' unico urlo dello spettacolo lo caccia l' ebreo, poiché è l' unico che ami, o abbia amato, qualcun altro senza nulla pretendere in cambio, se non amore o, quanto meno, d' essere accettato. Shylock non usa il denaro, come gli altri, per ottenere amore. Per il denaro egli non vuole che denaro. Ma come rappresentante dell' usura, o della sete di giustizia, egli finisce con l' esserlo, indirettamente, della grazia che nei cristiani è presente in modo ipocrita. Alla critica dell' usura Shakespeare contrappone la critica del dono. Così (questo non lo avevo mai notato) non è casuale se Shakespeare nomina per tre volte Giasone. «Noi siamo i Giasoni che hanno conquistato il vello d' oro» dice Graziano, l' amico di Antonio e Bassanio. Cosa e quale sia il vello d' oro non si sa. Non si sa neppure se Medea sia Porzia o non, piuttosto, lo straniero, l' ebreo Shylock. Ma è certo che a Civica da, direi, vero critico marxista, non interessano tanto i singoli personaggi in se stessi quanto il campo di forze (emotive e politiche) che si stabilisce tra di loro.
Franco Cordelli
«Il mercante di Venezia» nell' allestimento del regista 33enne a Parma
Civica, una frugalità rivoluzionaria
Come ha fatto notare Antonio Baudino sul Sole, Massimiliano Civica, 33 anni, è un' eccezione nel panorama del teatro italiano. Può indicare il principio di un rinnovamento. Nominato direttore del teatro della Tosse di Genova, non produrrà né quest' anno né mai un suo spettacolo. Perché? gli ho chiesto a Parma, dove l' ho incontrato. «Perché - mi ha risposto - a Genova voglio fare altre cose, voglio un buon cartellone, voglio insegnare, non voglio sottomettermi alla dominante logica dello scambio». Frugalità assoluta, dunque. Giorni fa parlavo di Piero Maccarinelli del quale, a Roma, risultano in scena o previsti tre o quattro spettacoli nel giro di una mezza stagione. Gli spettacoli di Maccarinelli sono prodotti da enti pubblici e privati. Ci si chiede il motivo di tanta attenzione nei confronti di un così modesto regista. Ma Civica è un esempio non solo rispetto a Maccarinelli. Lo è anche rispetto a registi qualificati, da Ronconi a Latella, i quali con i loro prodotti invadono i nostri palcoscenici. Ciò in cui Civica non è affatto frugale, anzi bulimico, è il modo di accostarsi a un testo. De Il mercante di Venezia ha confrontato 32 versioni: la peggiore è quella di Gabriele Baldini, la migliore quella di Agostino Lombardo. Lui, va da sé, per il suo Mercante si è servito di una propria traduzione con la quale torna, come era stilisticamente inevitabile (pensando ai primi spettacoli) la sua frugalità. Frugale, asciutto, quasi laconico Civica lo è in assoluto. A partire dagli attori che sono solo quattro: la giovanissima Elena Borgogni; Oscar De Summa, che avevo visto in un suo Riccardo III; e i bravissimi Mirko Feliziani e Angelo Romagnoli. Costoro, per i personaggi secondari, indossano maschere di lattice. Ma tendono alla scarnificazione interna anche dei personaggi principali che ciascuno di essi interpreta: nell' ordine, Porzia, Bassanio, Antonio e Shylock. Qual è, per Civica, il punto? Formalmente, lo stesso che nel precedente La Parigina di Becque (anche se Shakespeare non è Becque, i rischi sono dunque maggiori): ridurre il tasso di espressività al minimo, tutti parlano nello stesso modo, tutti parlano a bassa voce, sembra che si succedano in una litania, quasi in una preghiera. Spesso si affrontano a tu per tu, due per volta. Gli altri due si siedono, a vista; come, a vista, velocemente trasformano le proprie fisionomie senza uscire di scena. Ciò che risulta subito evidente, anzi rivoluzionario, è quanto Shylock non sia il protagonista, ma uno tra i tanti, o tra i quattro. Altrettanto chiara è la dinamica che lega gli altri tre. Antonio ama Bassanio, Bassanio ama Porzia, Porzia non ama nessuno, o forse se stessa, il suo potere, la sua ricchezza. L' unico urlo dello spettacolo lo caccia l' ebreo, poiché è l' unico che ami, o abbia amato, qualcun altro senza nulla pretendere in cambio, se non amore o, quanto meno, d' essere accettato. Shylock non usa il denaro, come gli altri, per ottenere amore. Per il denaro egli non vuole che denaro. Ma come rappresentante dell' usura, o della sete di giustizia, egli finisce con l' esserlo, indirettamente, della grazia che nei cristiani è presente in modo ipocrita. Alla critica dell' usura Shakespeare contrappone la critica del dono. Così (questo non lo avevo mai notato) non è casuale se Shakespeare nomina per tre volte Giasone. «Noi siamo i Giasoni che hanno conquistato il vello d' oro» dice Graziano, l' amico di Antonio e Bassanio. Cosa e quale sia il vello d' oro non si sa. Non si sa neppure se Medea sia Porzia o non, piuttosto, lo straniero, l' ebreo Shylock. Ma è certo che a Civica da, direi, vero critico marxista, non interessano tanto i singoli personaggi in se stessi quanto il campo di forze (emotive e politiche) che si stabilisce tra di loro.
Franco Cordelli
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