No Hamlet Please
Teatro India 7 – 11 dicembre 2016
Prima nazionale
NO HAMLET PLEASE
da William Shakespeare
uno spettacolo di Riccardo Vannuccini
dedicato a Fatim Jawara
Con i richiedenti asilo della REFUGEE THEATRE COMPANY
LAMIN NJIE, YAYA JALLOW, YELI CAMARA, LUCKY EMMANUEL, JOSEPH EYUBE
e con gli attori della SCUOLA DI TEATRO E PERFEZIONAMENTO PROFESSIONALE DEL TEATRO DI ROMA
MARIA TERESA CAMPUS, VINCENZO D’AMATO, STEFANO GUERRIERI, CHIARA LOMBARDO, CATERINA MARINO
e con EVA GRIECO, LARS RÖHM, CAPUCINE FERRY
Testi da WILLIAM SHAKESPEARE, FRANZ KAFKA, INGEBORG BACHMANN,
WALTER BENJAMI, COLETTE THOMAS, PATRIZIA VICINELLI
Scene, costumi, luci YOKO HAKIKO
Musiche Simeon Ten Holt, Underground Youth, Warren Ellis, Carla Bruni, Nick Cave
Colonna Sonora ROCCO CUCOVAZ
Direzione tecnica DANIELE CAPPELLI
Regista Assistente MARIA SANDRELLI
Produzione Artestudio
Dal 7 all’ 11 dicembre il palcoscenico del Teatro India accoglie una riflessione sul senso dell’Umano oggi, sul dramma delle migrazioni di uomini, donne, bambini, che troppo spesso invece di un futuro “normale” trovano respingimento e morte. No Hamlet Please è lo spettacolo dedicato alla questione delle migrazioni forzate che Riccardo Vannuccini presenta in prima nazionale, nell’ambito del progetto TEATRO IN FUGA, potando in scena giovani attori e richiedenti asilo provenienti dall’Africa, affiancati dagli attori della Scuola di Teatro e Perfezionamento Professionale del Teatro di Roma.
L’Amleto di William Shakespeare diventa un libro segreto, si fa mappa del mondo in grado di misurare le cose del tempo attuale. Il testo si trasforma in azione scenica e allora un foglio strappato dal copione diventa la carta d’identità, il permesso di soggiorno, una ricetta medica, l’ultima lettera alla madre, un fuoco nella notte, la tomba sulla sabbia. Amleto è come una traccia, un segnale di orientamento fra uomo e dio, fra bene e male, fra terra e mare, fra castello e deserto, fra vendetta e giustizia, fra cristiano e musulmano, fra oriente e occidente, fra pace e guerra, fra Amleto e Ofelia. Uno spettacolo dedicato alla figura dell’Amleto shakespeariano per ravvicinare i corpi dei partecipanti, rifugiati e attori, e farne uno strumento unico di indagine del contemporaneo, in un progetto di composizione scenica che attraverso la finzione sperimenta nuove possibilità di salute. «Poiché il senso dell’arte, anche quando contraddice è proprio quello della salus – afferma il regista Riccardo Vannuccini – Il nostro campo di indagine scenica metterà in prova un’idea di teatro poetico, non discorsivo dunque, un teatro che possa formarsi e formare in uno spazio altro – minore ma non minoritario e che deve rigenerarsi – rispetto alle attuali forme di conoscenza e comunicazione».
Una messinscena che unisce assieme ragazzi, donne, bambini in fuga e attori, con lingue e abitudini diverse, per fare teatro. Persone che fuggono dalle bombe e dalla fame e trovano in qualche modo la salvezza attraverso quella finzione, che serve a conoscere e a divenire divertimento estetico. «Ho lavorato col teatro in Libano più volte, in Giordania, in Palestina, in Iran, nelle zone di guerra, mettendo assieme queste genti “ferite” intorno ad un tavolo per mangiare e discutere, tutti intorno ad una traccia per fare teatro, in un campo all’aperto in mezzo alle tende o in uno scantinato rifugio antiaereo o ancora in un antico hammam trasformato in fascinosa sala teatrale. Per quanto mi riguarda, niente a che vedere col sociale o il pedagogico, io lavoro col teatro per puro divertimento estetico, la finzione che serve a conoscere, qualcosa che possiamo chiamare buona salute, nei teatri come nei centri in Italia per i rifugiati, i C.A.R.A. come nelle tende che ospitano i fuggiaschi nelle zone di guerra».
Amleto allora si trasforma in un campetto di terra battuta, un pezzo di pane, una tazza di tè, un gioco, con in scena rifugiati provenienti dalla Libia, dalla Giordania e dalla Palestina, affiancati dagli attori della Scuola del Teatro di Roma. I grandi temi di Shakespeare si collocano in altri luoghi e in altri tempi dando vita ad un percorso, un viaggio all’interno di un mondo più che mai attuale e per il quale il teatro può rappresentare uno spazio aperto di comprensione, «perché, se teatro diventa invece una fortezza intellettuale, un testo tomba – conclude Vannuccini – allora non funziona. No – mi dicono sorridendo i giovani africani o i bambini siriani – no Hamlet, please».
Lo spettacolo si inserisce nel segmento di Stagione TEATRI DI COMUNITÀ che sostiene e accoglie esperienze di teatro sociale come il Laboratorio Integrato Piero Gabrielli, i cui spettacoli nascono da un lungo lavoro di formazione con ragazzi con e senza disabilità, diretti da Roberto Gandini; la rassegna Garofano Verde di Rodolfo Di Giammarco; il lavoro dei detenuti-attori della Compagnia di Rebibbia con Finisterre.