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Quando ho pensato di dare vita con l'Orchestra di Piazza Vittorio a una Carmen napoletana, secondo i modelli del teatro musicale popolare che vanno da Raffaele Viviani alla sceneggiata, ho proposto a Enzo Moscato di scriverne il testo, chiedendogli un copione in cui ci fossero dialoghi e personaggi ispirati alla tradizione, ma guardando alla novella di Mérimée oltre che all'opera di Bizet. Quel che mi ha sempre affascinato della novella è il fatto che la vicenda è rievocata: Mérimée immagina che Don Josè gliela racconti in prigione, la sera prima di morire impiccato. Enzo ha colto al volo questa indicazione e ha scritto un testo che si muove su due piani, quello del racconto al presente e quello passato dell'azione rievocata.
Ne è nato lo spettacolo che vedrete, in cui procedono di pari passo le parole di Mérimée e dei librettisti Meilhac e Halévy completamente reinventate da Moscato e la musica di Bizet trasfigurata da Mario Tronco con Leandro Piccioni e l'Orchestra di Piazza Vittorio. La contaminazione è totale: Napoli si pone come centro di un mondo latino fatto di nomadismi, dalla Spagna alla Francia e, via via trasmigrando, fino a Tunisi. La lingua e la musica sono al centro di tutto, il vortice che tutto attrae: l'amore, la passione, il tradimento, la libertà e la violenza, l'allegria e il dolore, il mistero.
Non c'è un'epoca definita (anche se sentiamo balenare tanto la Napoli del dopoguerra quanto quella della criminalità dei nostri giorni), non c'è La Micaela dell'opera (che in Mérimée non esiste, serviva a Bizet per ragioni morali e musicali). Soprattutto, nel testo di Enzo Moscato, la protagonista non muore: a raccontare al "forestiero" (cioè a tutti noi) quanto è successo non c'è più solo Don Josè, anche Carmen prende finalmente parola.
Mario Martone
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