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I giorni del buio

19 – 23 giugno 2013

regia e drammaturgia  Gabriele Lavia

Lo spettacolo

Con I giorni del buio il teatro incontra la strada per guardare la realtà e le facce che la portano impressa: vite e storie di uomini e donne di ogni età con un passato da riscattare e un futuro da immaginare. Ritratto di un mondo reale, popolato da reietti e respinti dalla società, su cui Gabriele Lavia accende i riflettori con il gruppo di 19 giovani attori chiamati singolarmente a raccogliere altrettante testimonianze, confessioni, storie e pezzi di esistenza vissuta, fra gli homeless di Roma. Un’operazione di grande valore artistico e sociale che ha coinvolto i ragazzi dell’Accademia nella stesura del testo drammaturgico, rendendoli contemporaneamente attori e autori di un affresco corale sull’emarginazione che alza il sipario su 19 storie, 19 naufraghi ai margini della città, da vedere e da ascoltare.

Una sequenza coreografica collettiva intreccia ciascuno dei 19 singoli monologhi in un unico grande flusso che porta tutti in scena per raccontare le difficoltà e la desolazione, ma anche l’ingegno e la loro voglia di vivere.

«Avevo in mente uno spettacolo “strano”, una danza, un canto. Una specie di “ballata”. È venuto fuori I giorni del buio. Di giorno, si sa, c’è la luce; di notte c’è il buio. Qui succede il contrario. Gli homeless o i barboni (come amano chiamarsi tra loro) vivono una vita “rovesciata” e il rapporto (platonico per noi) buio-luce, con tutte le valenze simboliche non ha più senso. Nella “luce” non appare più “lo svelato” (la verità) – racconta Gabriele Lavia –  Ho chiesto ai giovani attori dell’Accademia d’Arte Drammatica di raccogliere le testimonianze o “confessioni” (ma forse sarebbe meglio dire le “confidenze”) di uomini e donne che vivono accanto ad altri uomini e donne “con la casa”. Cosa differenzia gli uni dagli altri? La casa, appunto. Non avere la casa è il “buio” per questi uomini e donne. Vivere per la strada non ha “luce”. Le confidenze raccolte dai giovani attori sono lunghissime. I nostri barboni (vogliono essere chiamati così. Barboncino è il barbone novello. Aspirante barbone è il Barbone che ha almeno cinque anni di anzianità. Non esiste il maestro barbone. “I barboni sono tutti maestri”, ci ha confessato un nostro nuovo amico). Le “confidenze” dei nostri barboni, dicevo, sono lunghissime. Ne abbiamo estratto un “frammento” per ciascuno. Non volevo nulla di “realistico”. Non volevo che i nostri giovani attori facessero la parte di barboni di una certa età o, addirittura, fossero vecchissimi. Pensavo a giovani attori che dessero il loro “respiro poetico” all’anima dei nostri nuovi amici senza nessuna “mimesi”, anzi segnandone la distanza. Il rispetto. “Se non hai nessuno che ti vuole bene … smetti di esistere … e diventi un fantasma …” ci ha detto una signora barbona. E un signor barbone: “L’uomo è un animale strano”. Chissà cosa volesse dire. Ma noi abbiamo imparato qualcosa. Forse una domanda».
Gabriele Lavia

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