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Altrove

1 – 6 marzo 2016

di Paola Ponti
regia Paola Ponti

Lo spettacolo

A volte occorre andarsene.
Dalla periferia, dallo spaccio, dalla malavita.
Ma anche dal centro, dal lusso e dal perbenismo.
A volte occorre andarsene.
Forse per sempre

Può un ragazzo della periferia, senza istruzione, un redditizio lavoro di spacciatore, immaginare un’altra vita? La sua esistenza scorre nella routine della quotidianità: lo spaccio, i bar, le botte. E una inusuale passione per il flauto traverso. Tutto tra le quattro vie del quartiere. Sembra non esserci presa di coscienza, le ore scorrono una dietro l’altra. Sembra non esistere nemmeno la possibilità di pensarlo un altrove, quando una sera, per caso, compare una giovane straniera, che, a differenza del ragazzo, non ha ancora smesso di sognare. “Dura tutto un attimo, dice la protagonista femminile. Dura tutto un attimo. La vogliamo anche fare difficile?” Altrove è la possibilità di avvicinarsi di più a se stessi, per non accorgersi alla fine di aver vissuto la vita di qualcun altro. Immaginarsi un altro luogo significa per i protagonisti avere la possibilità di vivere la propria vita. Per il padre è troppo tardi. Le sue scelte l’hanno ormai soffocato. Per i ragazzi forse è ancora tempo. Si trovano in quell’istante appesi al filo, quando presto tutto potrebbe essere già passato.

Note di regia

Emarginati o integrati? Questo dualismo che ci scorre accanto a volte anche per tutta l’esistenza, esplode pericoloso nella giovane età. Quando ci si accorge che esiste un dentro e un fuori delle cose: noi e il resto del mondo. Ma in questa domanda, quello che mi interessa non è quanto siamo emarginati o integrati. Piuttosto quanto ci si sente, emarginati e integrati, quando si è poco più che adolescenti. Quanto conta la concezione che abbiamo di noi, rispetto a quello che siamo davvero? Chi e cosa influenza questo nostro sentire e quanto drammaticamente influisce sulle nostre scelte e la nostra possibilità di osare? Per questo, ho scritto Altrove. E’ nato come un piccolo testo di venti minuti per la bella rassegna del Teatro di Roma intitolata Ritratto Di Una Capitale. Una piccola cosa insomma, dentro un involucro importante. Rileggendo il corto mi è venuta voglia di dargli più spazio. Con la generosità degli attori e di tutta la compagnia siamo arrivati a uno spettacolo autonomo. E’ ancora una piccola cosa. Nel senso più bello del termine, spero. Perché parla di piccole cose. Cose così. La vita, insomma. Ci siamo ritrovati a raccontare un incontro. Che però, per il protagonista, pare diventare l’incontro.

Sognare è sognare, in generale non parrebbe complicato, da qualunque luogo si parta.  Complicato è capire cosa si sogna. Darsene il diritto, di poterlo pensare, il futuro. Avere la forza di immaginarlo. Il personaggio da cui sono partita sembra non poter immaginare nient’altro di quello che fa, di quello che crede di essere nato per fare. Così, senza domande, senza desideri. Semplicemente scorre i giorni uno accanto all’altro, fino a quando, una ragazza, una notte gli pone delle domande. Non credo che nelle storie, come nella vita, sia davvero utile quello che si dice a qualcuno. Anzi spesso, le cose che diciamo le diciamo per altri o per se stessi. Credo che sia invece profondamente utile saper fare delle domande. Fare la domanda giusta a qualcuno, può davvero aprire nuove strade. I tre personaggi si trovano in quell’istante appesi al filo, quando presto tutto potrebbe essere già passato: “La vita dura un secondo? La vogliamo anche fare difficile?”

Domandare e domandarsi un Altrove, in questa storia, significa poter guardare oltre la siepe, per darsi la possibilità di avvicinarsi di più a quello che siamo, per non accorgersi alla fine di aver vissuto la vita di qualcun altro.

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