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IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO

Africabar

22 – 24 giugno 2017

venti attori in scena più uno
sopravvissuti al deserto, al mare e al teatro
uno spettacolo di Riccardo Vannuccini
dedicato a Hande Kader
realizzato con i richiedenti asilo del progetto TEATRO IN FUGA

Lo spettacolo

Un reportage in forma di appunti scenici, una performance che vuole essere un manifesto di conoscenza e aprire una finestra sulla tematica sempre più attuale delle migrazio­ni forzate: questo è Africabar. Riccardo Vannuccini, dopo Sabbia Respiro, realizza questo spettacolo con il quale conclude la Trilogia del Deserto, un vero e proprio posto ul­timo dove contarsi prima di salire su una barca per affron­tare le onde di un mare incerto e imprevedibile. Il teatro diventa strumento di conoscenza, un mezzo per indagare quei fenomeni che stanno cambiando il mondo in questo XXI secolo. La Palestina, il Libano, la Giordania, l’Iran, sono gli scenari che vanno a comporre un quadro che non ha nulla a che vedere con il teatro sociale, civile, illustrativo o pedagogico, bensì attuale, che trasforma la finzione in re­alismo. I rifugiati, nella nuova veste di attori, costruiscono uno spettacolo ricco di suggestioni, mescolando tradizioni, usi, religioni, razze, richiamando una forte partecipazione immaginativa dello spettatore.

 

 

Io sono tu e tu sei io, e dove tu sei io sono, e in tutte le cose sono disperso, e dovunque tu vuoi, tu mi raccogli; ma raccogliendomi, tu raccogli te stesso.

Frammento gnostico del Vangelo di Eva

Note di regia

AFRICABAR è una mappa ambivalente, non un uni-verso ma la traccia di un di-verso modo di vedere le cose del mondo come fossero sempre l’uno e l’altro assieme: il bianco e il nero, il cielo e la terra, la materia e la musica. Esercitazione a mano libera, dizionario disorientato, favola e delirio al tempo stesso, in AFRICABAR il racconto è una giocosa fluttuazione di cosa in cosa, da questo a quello, da locale a straniero, da maschio a femmina senza mai determinare o dividere le figure. Un teatro che accetta il rischio dell’inconcludenza, che non si inserisce in un ordine prestabilito, e che mette in prova uno scambio fra attore e spettatore reso possibile dal fatto che il corpo non è solo un organismo, un fotogramma, ma il punto di raccolta di un racconto. Cosa può oggi il teatro? Inventare cronache inventate al contrario della comunicazione. AFRICABAR non è uno spettacolo ordinato ma disordinato, non c’è nessun messaggio, nessun filo conduttore. AFRICABAR è la prova disperata autentica ultima e sciocca dell’impossibilità possibile.

Oltre lo spettacolo

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