Vai al contenuto

Prima nazionale

28 battiti

9 – 20 novembre 2016

scritto e diretto da Roberto Scarpetti

Lo spettacolo

Abbiamo bisogno di eroi. Gli sportivi sono i nuovi eroi.
Calciatori famosi, campioni di basket, vincitori di medaglie d’oro alle olimpiadi.
Giovani uomini e giovani donne che fanno del fisico il loro talento. Che sudano, che emergono, che vincono. Che diventano famosi. E la fama è da decenni il valore verso cui tendere. L’unico vero valore condiviso rimasto nella nostra società. Se un tempo si poteva diventare famosi anche sviluppando e sfruttando altri talenti, i talent show televisivi hanno livellato tutto a quei 15 minuti di notorietà warholiani, allungandoli magari di qualche mese soltanto. Così l’unico talento rimasto, l’unico più duraturo, è quello del fisico. Dello sport.
Ma come e quanto si può intervenire sul proprio corpo?
Prendendo spunto da Alex Schwazer, campione olimpico squalificato per doping, e costruendo dalla sua vicenda una storia di finzione, 28 battiti racconta il percorso di un atleta che interviene pesantemente sul proprio corpo, sul proprio talento, con il doping. Esistono delle scorciatoie e da italiani lo sappiamo bene.
Scorciatoie più o meno lecite che ci permettono di farci largo sul posto di lavoro, di ottenere i favori di qualcuno, di raggiungere obiettivi che con le sole nostre forze non sarebbero raggiungibili. In pratica di barare. Come? Copiando un compito in classe, o chiedendo una raccomandazione, o dopandosi prima di una gara sportiva.
Il risultato è comunque lo stesso: prendiamo il posto di qualcuno che lo meriterebbe più di noi.
Prendiamo un posto che non ci spetta.
Ma se, invece, in questa storia il doping servisse, più o meno inconsciamente, a ottenere il risultato opposto? Se, anche in parte mirato a ottenere un vantaggio, tendesse solo alla distruzione di ciò che è stato costruito, dei risultati raggiunti, della fama?
È questo il percorso dell’atleta di 28 battiti: ricorrere al doping non per barare o per ottenere risultati che non meriterebbe, no. L’atleta decide di doparsi perché quella è la sua ultima possibilità.
Per rinunciare a tutto. Alle vittorie, alle medaglie, alle pressioni. Alla fama.
Il doping per lui è l’unica strada per arrivare al vero appagamento, al contatto autentico con la propria indole, alla conoscenza di sé, rinunciando al più futile e volubile dei valori, quello del successo.
Il rifiuto della fama, come un anti-valore, fa dell’atleta il nuovo eroe, l’anti-eroe che si trasforma in modello, che diventa un uomo capace di riaffermare se stesso, il suo corpo, il suo fisico, la sua anima, la sua vocazione, il suo vero talento: quello di entrare in contatto con la natura attraverso lo sport, uno sport che lo rende libero e non più schiavo dei risultati, delle pressioni, delle aspettative, delle vittorie.
Delle medaglie.
Uno sport pulito.

Note di regia

Il corpo è un’ossessione.
Attraverso il corpo passano le nostre aspirazioni, i nostri sogni, il modo in cui ci percepiscono gli altri. Il successo e l’insuccesso.
È così per tutti noi. E ancor di più per chi con il corpo ci lavora. Gli attori, per esempio. O per gli sportivi di professione. Attraverso il corpo passa il loro talento, il loro futuro.

Ma cosa succede quando il corpo smette di essere ciò che realmente è e diventa un mezzo? Quanto siamo abituati a pensare che si possa intervenire sul proprio corpo? Per vincere una gara sportiva? Per restare giovani? Per essere più belli?
Qual è il limite da non oltrepassare per rimanere veramente noi stessi?

Nello sport questo limite si chiama doping, ma spesso il doping è una frontiera mobile, oscura, non sempre chiaramente delineata.
E per un atleta il doping è la nuova frontiera dell’ossessione per il corpo. Frontiera spostata sempre più in là dalle federazioni, dalle pressioni, dalle gare da vincere. Dalla ricerca del successo. Dalla società. Come un chilometro in più da percorrere, un centimetro in più da saltare, una salita in più da affrontare.

28 battiti parte da qui. Dall’ossessione di un atleta per il proprio corpo. Dal doping vissuto prima come una scappatoia, poi come un incubo. Infine come unica possibilità di rinascita.
È il doping che porta l’atleta alla distruzione del suo corpo, della sua carriera, di tutto ciò che ha costruito. Ed è, però, attraverso la scelta di doparsi che passa la sua rinascita. La sua ribellione. È con questa scelta che l’atleta trova la forza necessaria per liberarsi di tutto, di ciò che non ha mai voluto, delle pressioni della società, dello stress, di una vita ingabbiata in una routine che ha cancellato tutti i suoi desideri.
Per lui il doping diventa l’annullamento totale del fisico, annullamento che però lo libera dall’ossessione per il proprio corpo che diventa finalmente pura espressione di sé.

Attraverso i suoi errori, l’atleta riesce a ridefinire se stesso, la sua anima, la sua vocazione, il suo vero talento: quello di entrare in contatto con la natura grazie a un nuovo modo di vivere lo sport. Uno sport che lo rende libero e non più schiavo dei risultati, delle aspettative, delle vittorie. Delle medaglie.

Photo Gallery

Oltre lo spettacolo

Iscriviti alla newsletter