a feroce bellezza del teatro epico di Mimmo Borrelli, sulfureo e tellurico autore flegreo di testi possenti nell’impervia lingua della sua terra, approda sul palco con il suo poema allegorico La cupa. Spettacolo di travolgente furore e di potente irruenza a raccontarci la violenza del nostro tempo e i veleni del nostro paesaggio in un sincretismo totale di versi, canti e drammaturgia.
Pluripremiato e consacrato da un clamoroso successo di pubblico e di critica nel 2018, Mimmo Borrelli torna in scena con La cupa. Un’epopea in versi, uno spettacolo che racconta una deriva e che dopo la cosiddetta Trinità dell’Acqua (’Nzularchia – 2003; ’A Sciaveca – 2006; La Madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma – 2010,) apre il primo capitolo della Trinità della Terra, pianeta che viene risucchiato nel vuoto delle coscienze e della memoria del nostro tempo. La parola che dà il titolo all’opera – cupa – va intesa nella doppia accezione, di sentiero stretto che s’apre nelle cave, e di buio metaforico, perché affondata nelle tenebre è la rappresentazione della violenta faida che vede contrapposte due famiglie di scavatori: quella di Giosafatte ‘Nzamamorte, malato terminale di tumore, e del terribile Tommaso Scippasalute. La cava contesa nasconde attività illecite di smaltimento di rifiuti tossici e cadaveri di bambini per il mercato degli organi, ma nasconde soprattutto il passato dei personaggi che la abitano. Ognuno ha il suo orrore inconfessabile, un inferno di colpe e delitti – tra omicidi, pedofilia, infanticidi, stupri – rimossi nel ventre dell’inconscio ma destinati a un eterno ritorno, proprio come la paternità negata di Giosafatte. Un altro sorprendente viaggio nella lingua-universo di Borrelli, unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori autori teatrali contemporanei italiani. Una magia di suoni e visioni capaci di scuotere e di raggiungere il lato intimo dell’esistenza, attraverso una lingua che con potenza si impone all’ascolto e al senso. È il “teatro totale” di Borrelli, concepito con attenzione meticolosa e rintracciabile in ogni gesto dei suoi interpreti, impegnati a portare in scena naufragi e inganni, amori e tradimenti. Un esercito disperato e avvincente si moltiplica per vigore, energia e suoni, attraverso il continuo comporsi e scomporsi di un universo dannato: invasati tormentati e ossessionati teneri e spietati, pronti ad attaccare, ad offendere, a rammentare punizioni e pene da infliggere secondo le leggi di riti arcaici. Corpi di un sogno, di un incubo, di un esorcismo che, come una processione blasfema, affollano l’universo “reale” di Borrelli per poi trasfigurare in un teatro immaginario che seduce e violenta. Così, corpo e gesto seguono e assecondano il suono dei versi modellandoli ad azioni armoniose come un danzare magnetico e ipnotico.