Nel 1976 Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi proponevano sul palco del leggendario Beat 72 La rivolta degli oggetti, uno spettacolo che sarebbe diventato un punto di riferimento estetico e concettuale per la formazione del gruppo e per la controcultura romana degli anni Settanta. A quarantatré anni da quel primo lavoro, La Gaia Scienza si riunisce per passare il testimone a tre giovani performer, dando vita ad un riallestimento che è un incontro nel tempo fra epoche, corpi ed esperienze completamente differenti.
A quarantatré anni di distanza dalla sua apparizione sui palchi del Beat 72, La rivolta degli oggetti torna ad abitare la sala di un teatro attraverso i corpi di tre giovani performer guidati dagli interpreti originali dello spettacolo: i fondatori de La Gaia Scienza, Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi. Nato nel clima di estrema libertà artistica della controcultura romana degli anni Settanta, lo spettacolo – un’ora esatta di poesia, distillata tra rivoluzione sociale ed estetica, tra avanguardie storiche e arte contemporanea – si presenta al pubblico di oggi mosso dalla volontà di restituire agli spettatori proprio quello spazio utopico di creatività e circolazione del pensiero che ne aveva favorito la creazione. Specchi, sedie sospese, funi, un cappotto, un violino scordato: sono gli oggetti che si oppongono ai corpi dei performer, acrobati in esplorazione dell’universo poetico di Majakovskij – il titolo stesso è quello di un suo poema del 1913 – che si rotolano, si lanciano, si dondolano come smarriti, amplificando i versi dell’autore russo nella risonanza di una miriade di frammenti. Lo spettacolo del 1976 trovava la sua essenza in un lavoro sul corpo basato sulla gestualità, sulla parola, sullo slancio e sull’energia in una sintesi tra teatrodanza e arte visiva che fu la chiave dell’impatto emotivo sul pubblico e sulla critica, la quale non mancò di rimarcare la leggerezza con cui tutti gli elementi venivano amalgamati assieme per essere poi condivisi con lo spettatore. Il metodo alla base del lavoro partiva infatti da una sostanziale rottura con la tradizionale divisione dei ruoli: tutto nasceva dal cortocircuito di diverse individualità artistiche che in quel momento, incontrandosi, generavano qualcos’altro, e davano vita ad un universo complesso e in costante trasformazione. Nel 2019 questo cortocircuito è rinnovato dalla presenza di tre giovani performer, alle cui sensibilità è affidata la creazione – ogni sera differente – su base della “partitura” dello spettacolo originario, per associazioni e dissociazioni, sguardi e movimenti. I tre performer, in dialogo con lo spazio e con il proprio tempo, incarnano così attraverso i loro corpi lo straniamento e le tensioni di un presente diviso fra la mercificazione imperante e la libertà sterminata di internet e dei media. Il risultato è uno spettacolo che, come in un gioco di scatole cinesi, concentra l’esperienza artistica di tre epoche storiche lontane fra loro – l’avanguardia rivoluzionaria russa, le cantine romane, il mondo come lo vediamo oggi – per aprire di nuovo il teatro allo stupore e alle possibilità dell’incontro, tanto fisico quanto metaforico. «Ragioniamo di nuovo insieme dopo trentacinque anni di strade e percorsi separati, su quel lavoro che per ognuno di noi ha costituito un punto di partenza importante, fondante. – raccontano insieme Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi – Se una ricostruzione filologica è impensabile, perché equivarrebbe a rifare ciò che non veniva replicato, riprodotto di sera in sera, ma di sera in sera prodotto nuovamente, quello a cui ci accingiamo è creare le condizioni per trasmettere un’esperienza, reinventando il gioco scenico, utilizzando alcuni materiali originari (le parole di Majakovskij, l’idea di sospensione, i rimandi di frammenti di spazio tramite specchi rotti, qualche oggetto, qualche taglio di luce, qualche brano registrato), consegnando a giovani attori e danzatori gli oggetti da rivoltare, che sono appunto quei materiali – ed eventuali altri – ma anche concetti, pensieri, stimoli che erano tutto il non-detto dello spettacolo, la sua sostanza immateriale. Tutto ciò presuppone un aspetto laboratoriale, che non è solo un periodo di prove, ma uno spazio-tempo di elaborazione di un linguaggio. Un passaggio di testimone, nel quale anche noi tre saremo presenti, interagendo in sovrapposizione o in contrappunto, in dialogo quindi con le nuove sensibilità».
La Gaia Scienza
La Gaia Scienza, uno dei gruppi di teatro più interessanti tra la seconda metà degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, nasce su un treno diretto a Venezia, dove si incontrano Giorgio Barberio Corsetti, Alessandra Vanzi e Marco Solari che formeranno il nucleo centrale del gruppo. Il nome “La Gaia Scienza” viene dal libro di Nietzsche, autore amato dai tre componenti del gruppo e titolo del saggio di diploma di Corsetti all’Accademia D’Arte Drammatica Silvio d’Amico. Gli spettacoli de La Gaia Scienza rappresentano un punto d’incontro tra il teatro d’azione, fondato sulla presenza dell’attore slegato da ogni necessità di rappresentazione e una complessità nella progettazione della scena, affidata soprattutto al ruolo degli oggetti e dei materiali che vanno ad influenzare quel “campo di forze” che la scena si trova ad essere. Tra i primi spettacoli della compagnia La rivolta degli oggetti (1976), segna già la ricerca “rivoltosa” del gruppo, superando gli ambiti della performance e dello spettacolo dal vivo che caratterizzavano la post-avanguardia. I membri del gruppo si divideranno nel 1984, in occasione della Biennale Venezia (Teatro) per dare vita a due differenti compagnie: compagnia Solari-Vanzi e compagnia G.B. Corsetti oggi Fattore K. Dopo 40 anni Corsetti, Vanzi e Solari si re-incontrano per rimettere in scena con un nuovo cast lo spettacolo simbolo del proprio percorso artistico.