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Il mio filippino

24 e 25 settembre 2021

regia, concept, ricerca e coreografia Liryc Dela Cruz
collaborazione all’ideazione Benjamin Vasquez Barcellano Jr, Flora Ventura, Sheryl Palbacal Aluan, Jenny Guno Llanto, Tess Magallanes, Daisy Magallanes, Jessica Duque
con Benjamin Vasquez Barcellano Jr, Flora Ventura, Sheryl Palbacal Aluan, Jenny Guno Llanto, Tess Magallanes, Daisy Magallanes, Jessica Duque
regista assistente Gabriel Serafini

 

Lo spettacolo

Il mio filippino è una performance multimediale basata su una ricerca che impegna l’artista da diversi anni, alla base di una sorprendente documentazione della routine di “gesti di cura e svolgimento delle pulizie” da parte dei collaboratori domestici filippini. Vuole essere un invito a ripensare e a riflettere sulle domande: come essere uguali e riconoscere l’invisibilità degli altri? Chi sono queste persone che puliscono il mondo?
L’intento del lavoro di Dela Cruz è riconciliare i corpi esausti di questi preziosi collaboratori domestici con la terra e il suolo mediante rituali e conoscenze degli indigeni filippini, ponendoci una domanda: come eliminiamo le illusioni di amore nei confronti della casa del datore di lavoro, che impediscono alla società di vedere la condizione reale di queste persone?
Nelle Filippine precoloniali, la cura degli spazi è sempre stata associata al modo in cui le persone si pongono in relazione con la natura. La cura è la forma centrale di coesistenza con gli elementi visibili e invisibili nell’ambiente circostante. Nel corso del lungo periodo della colonizzazione spagnola, della tratta degli schiavi attraverso il Pacifico, dell’occupazione americana e giapponese, della dittatura, la cura trova una nuova definizione, così come il corpo, e i suoi gesti e movimenti. L’espressione “il mio filippino” è stata coniata a metà degli anni Ottanta in seguito all’afflusso di filippini in Italia negli anni Settanta. L’Italia è diventata il luogo che registra la diaspora filippina più significativa nell’Unione Europea. Questa forza-lavoro è e si sente invisibile.  Questo progetto non intende innescare un senso di colpa, è piuttosto un invito a osservare da vicino e a percepire i corpi esausti e i movimenti invisibili e trascurati. Citando Françoise Vergès: “Mentre cerchiamo di pulire/sanare le ferite del passato, dobbiamo anche pulire/sanare le ferite che vengono inflitte oggi… Mentre saniamo il passato dobbiamo sanare simultaneamente il danno presente che accresce l’esposizione alla morte di milioni di persone nel sud del mondo. Il passato è il nostro presente ed è in questa temporalità incerta che il futuro può essere immaginato”.

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