Quel che mi ha colpito di questo dramma storico di Shakespeare, spesso lungamente dimenticato nonché davvero poco frequentato, è l’uomo Riccardo. Molto più del (non) politico Riccardo, soprattutto a dispetto dell’opinione diffusa che intende questo testo come un testo meramente politico.
Sicuramente lo è. Ma è anche altro il suo tema più forte. Più che l’uomo Riccardo, dovremmo dire il giovane Riccardo. Di questo grande protagonista, divenuto re all’età di 10 anni, mi ha rapito la sua immaginazione di ragazzo, i suoi salti a vuoto nella vita e quella costante incapacità di misurarsi col presente. Che pure è presente, e sempre condiziona. Le idee, le scelte, le azioni, la vita, insomma tutto. Riccardo è inadatto. Sente di essere tanto al suo posto nel mondo, proprio in quel posto di re consacrato che la vita gli ha destinato, quanto allo stesso tempo in un luogo che più non gli appartiene.
Ma contro l’ineluttabilità della sua storia nulla può fare. Immagino questa messinscena come un luogo
mentale che, come una lunga analessi, prende le mosse dal luogo in cui Riccardo nel quinto atto è chiuso in prigione: il carcere di Ponfret. Personaggi ed ombre prendono vita nella sua coscienza di ragazzo, perché oramai è smarrito nel presente. E perché, come dirà, lo avete mal compreso fino a qui. Prova gioie, assapora dolori, lui ha bisogno di amici. Un po’ come tutti. E allora come potete dire che è re?
Danilo Capezzani