Il romanzo che nel 1961 valse il Premio Strega a Raffaele La Capria arriva sul palcoscenico in un adattamento firmato da Emanuele Trevi e diretto da Roberto Andò.
Un diario romantico, che dal protagonista Massimo si allarga alla sua amata Napoli, al fallimento della borghesia meridionale, al potere corrosivo del denaro e al piacere di fingersi diversi da come si è. Sono gli anni difficili del Dopoguerra, in una città ancora piena di macerie.
Ferito a morte è un romanzo divenuto molto presto un classico, su cui molto è stato scritto. Di tutto quello che ho letto mi è rimasto una memoria molto viva del commento di Domenico Starnone, lì dove dice che “L’impressione più duratura di quella prima lettura fu la confusione emozionante delle voci. Mi sembrò di finire dentro la radio mentre qualcuno gira la cambia e l’asta scorre attraverso le stazioni. Ma con mia meraviglia tutto era comprensibile. Scoprivo e insieme riconoscevo luoghi, sensazioni, persone, formulari, toni, la mia stessa città. Insomma, c’era racconto, ma era un modo assolutamente diverso di raccontare. Era – mi sembrò – un modo assai più vero”. Parole che potrei fare mie, anche se Napoli non è la città dove sono nato. Parole che ritornano appropriate per questa scelta di portare in scena un romanzo così complesso e labirintico. Ma perché un romanzo per fare teatro? probabilmente quello che più mi attrae, da scrittore e uomo di teatro, in Ferito a morte è proprio “il tentativo riuscito di raccontare la vita che succede ancora che diventi, e la malinconia di raccontarla quando ormai lo è diventata”, come scrive ancora Starnone. Come ogni racconto del tempo che passa – anche se tutto si svolge in una sola giornata – il romanzo di La Capria, in modo del tutto originale e unico, è attraversato dai fantasmi della Storia. In questo senso è anche un libro sul fallimento della borghesia meridionale, sul marciume corrosivo del denaro, sullo sciupio del sesso, sul disfacimento della città all’unisono con chi la abita, sulla logorrea e la megalomania, sul piacere di apparire e fingersi diversi da vieni si è. Soprattutto è una storia, come ha scritto Leonardo Colombati, che non ha principio né fine.
Roberto Andò