Lo spettacolo liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, e diretto da Emma Dante, narra la storia di un vecchio che per sconfiggere la solitudine della sua vita, invita a cena, nella notte fra l’uno e il due novembre tutti i defunti della famiglia.
Il 2 novembre è il giorno dei morti. Un vecchio ‘nzenziglio e spetacchiato, rimasto solo in una casa vuota, prepara una pietanza tradizionale per onorare la festa. Con acqua, farina e zucchero il vecchio impasta l’esca pe li pesci de lo cielo: il pupo di zucchero, una statuetta antropomorfa dipinta con colori vivaci. In attesa che l’impasto lieviti richiama alla memoria la sua famiglia di morti. La casa si popola di ricordi e di vita: mammina, una vecchia dal core tremmolante, il giovane padre disperso in mare, le sorelle Rosa, Primula e Viola “tre ciuri c’addorano ‘e primmavera”, Pedro dalla Spagna che si strugge d’amore per Viola, zio Antonio e zia Rita che s’abboffavano ‘e mazzate, Pasqualino il figlio adottivo.
Uno spettacolo in perfetta armonia tra l’ineluttabilità della morte e l’umanità della vita, entrambi i temi emergono in ugual misura attraverso i ricordi del vecchio spetacchiato legato alla vita dalla nostalgia per quei morti che appaiono e si animano colorando la scena e raccontando il proprio vissuto.
Secondo la tradizione in alcuni luoghi del Meridione c’è l’usanza di organizzare banchetti ricchi di dolci e biscotti in cambio dei regali che, il 2 novembre, i parenti defunti portavano ai bambini dal regno dei morti. Durante il rituale, in quella notte, la cena era un momento di patrofagia simbolica; nel senso che il valore originario dei dolci antropomorfi era quello di raffigurare le anime dei defunti. Cibandosi di essi, era come se ci si cibasse dei propri cari.