Un gruppo di persone, di età diverse e legate da vincoli di parentela e non, si riunisce casualmente in una casa di campagna affacciata su un lago, dove per tre atti si confrontano nel tentativo di sfuggire al grigiore del proprio destino.
Tra loro emerge con forza la vicenda di Kostja, un giovane che sogna di riscattarsi attraverso l’arte della scrittura, sostenuto e infiammato dall’amore per Nina, una coetanea che aspira a diventare attrice. Kostja presenta il suo primo testo, interpretato dall’amata, ma lo spettacolo si interrompe bruscamente e con esso svanisce l’illusione di un sogno condiviso. Da quel momento tutto precipita: desideri, ambizioni e amori si scontrano con la realtà, trasformando la speranza in disillusione.
Due anni dopo, Čechov ci mostra i personaggi ormai prigionieri dei loro rimpianti: i sogni si sono infranti, i desideri spenti, e la vita appare come una lenta rinuncia. Al centro di questo fallimento collettivo, Kostja sceglie la morte — ultimo atto di una parabola che dalla passione conduce al silenzio. Ma forse, nel gesto finale, si cela anche una rinascita: Kostja si libera dal peso del mondo, trasformandosi in qualcosa di più leggero, oltre la materia e il tempo.
Filippo Dini spiega nelle sue note: “L’immortalità di questo testo, e la sua bruciante contemporaneità, stanno nella descrizione di un’umanità alla fine: una società sull’orlo del baratro, che percepisce l’arrivo di un’apocalisse destinata a spazzare via il mondo così come lo abbiamo conosciuto. Di lì a pochi anni, infatti, arriverà la Rivoluzione, e con essa tante altre rivoluzioni in Europa — cause o effetti di una stessa crisi profonda.
Tutta la drammaturgia di Čechov racconta una fine imminente. I suoi personaggi sono un popolo di ombre che tenta di resistere alla malinconia, alla tristezza, al torpore dell’anima. Lottano, si scontrano, si feriscono — tra di loro e con se stessi — per non soccombere.
Le somiglianze con la nostra epoca sono straordinarie e sconfortanti. È come se il nostro Anton ci osservasse da lontano, con il suo sorriso ironico, in attesa che anche la nostra società, il nostro mondo, il nostro folle modo di vivere, arrivino all’esplosione. Proprio come la boccetta di etere del dottor Dorn.”