Human
Dal 9 al 14 maggio al Teatro Argentina di Roma
HUMAN
di e con Marco Baliani e Lella Costa
regia Marco Baliani
collaborazione alla drammaturgia Ilenia Carrone
e con David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu
musiche originali Paolo Fresu – scene e costumi Antonio Marras – scenografo associato Marco Velli
costumista associato Gianluca Sbicca – luci Loïc Francois Hamelin e Tommaso Contu
Produzione Mismaonda e Sardegna Teatro in collaborazione con Marche Teatro
Umanità in movimento, il filo rosso che ha guidato fino ad oggi la Stagione del Teatro di Roma, continua a creare trame sempre più vivide intrecciandole con l’attualità e portandole dentro e fuori la scena: sono i racconti di migranti, di rotte esistenziali, di fughe e arrivi non facili, scatti in presa diretta sulle migrazioni e sulla volontà di raccontarne l’odissea incalzata dagli eventi. E proprio sulla dicotomia tra “umano” e “non-umano” che è costruito lo spettacolo Human di e con Marco Baliani e Lella Costa, dal 9 al 14 maggio al Teatro Argentina, un’opera che indaga con tocco severo e al contempo poetico la disumanità che infesta il nostro tempo, questi nostri giorni carichi di terrore.
Un teatro civile, attuale, che dà voce ai diversi, ai migranti, semplicemente agli uomini. «Uomini, siate umani, è il vostro primo dovere; siate umani verso tutte le condizioni, verso tutte le età, verso tutto ciò che non è estraneo all’uomo. Quale saggezza può mai esistere fuori dell’umanità?» affermava il filosofo J.J. Rousseau. È questo il concetto che sta alla base del progetto dei due autori, i quali portano in scena la presenza dell’umano e al contempo la sua negazione. Prima ispirazione è l’Eneide, che celebra la nascita dell’impero romano da un popolo di profughi: Marco Baliani parte dal mito per interrogarsi sul senso profondo del migrare. Poi l’incontro con Lella Costa e la reminiscenza di un altro mito, ancora più folgorante nella sua valenza simbolica: Ero e Leandro, i due amanti che vivevano sulle rive opposte del fiume Ellesponto. Human parte così dal tema delle migrazioni e dalla volontà di raccontarne l’odissea “ribaltata”: al centro si pone lo spaesamento comune, quell’andare incerto di tutti quanti gli “human beings” in questo tempo fuori squadra. È una ricerca teatrale che riflette su quanto sta accadendo negli ultimi anni in Europa, intesa non solo come entità geografica, ma anche come sistema di valori e idee, con i muri che si alzano, i fondamentalismi che avanzano, gli attentatati che sconvolgono, i profughi che cercano rifugio. Non semplice teatro civile ma spiazzante, conturbante, inquietante esplorazione della soglia fatidica che separa umano e disumano, in forma di oratorio, nel tentativo di innescare un rito di partecipazione sul significato profondo di umanità.
«Il titolo lo abbiamo trovato, la parola Human sbarrata da una linea nera che l’attraversa, come a significare la presenza dell’umano e al tempo stesso la sua possibile negazione. Umano è il corpo nella sua integrità fisica e psichica, nella sua individualità. Quando questa integrità viene soppressa, o annullata con la violenza, si precipita nel disumano. Umani sono i sentimenti, le idee, i diritti. Li abbiamo sognati eterni e universali: dobbiamo prendere atto che non lo sono – raccontano Marco Baliani e Lella Costa – La storia del nostro novecento e di questo primo millennio ci dicono che le intolleranze e le persecuzioni, individuali o di massa, nei confronti degli inermi e degli innocenti, continuano a perpetrarsi. Con la nostra ricerca teatrale vorremmo insinuarci in quella soglia in cui l’essere umano perde la sua connotazione universale, utilizzare le forme teatrali per indagare quanto sta accadendo nella nostra Europa. Vogliamo spiazzare lo spettatore, inquietarlo, turbarlo, assediarlo di domande. E insieme incantarlo e divertirlo. E per riuscirci andremo a indagare proprio quel segno di annullamento, quella linea che sancisce e recide, esplorare la soglia fatidica che separa l’umano dal disumano, confrontarci con le parole, svelare contraddizioni, luoghi comuni, scoperchiare conflitti, contraddizioni, ipocrisie, paure. Vorremo costruire un teatro capace di andare a mettere il dito nella piaga, per andare a toccare i nervi scoperti della nostra cultura riguardo alla dicotomia umano/disumano. Senza rinunciare all’ironia e perfino all’umorismo: perché forse solo il teatro sa toccare nodi conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso, la visionarietà delle immagini, la forza della poesia».