Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia
25 – 30 novembre 2014
scritto da
Ferdinando Imposimato e Ulderico Pesce
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Ferdinando Imposimato e Ulderico Pesce
“Non l’hanno ucciso le Brigate Rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi dallo Stato.” Questa frase è il fulcro dell’azione scenica ed è documentata dalle indagini del giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Moro, che nello spettacolo compare in video interagendo con il protagonista e rivelando verità terribili che sono rimaste nascoste per quarant’anni. Il titolo dello spettacolo è “moro” con la “m” minuscola a voler sottolineare che nel cognome del grande statista c’è la radice del verbo “morire”. Come se la “morte” di Aldo Moro fosse stata “scritta”, fosse cioè necessaria per bloccare il dialogo con i socialcomunisti assecondando i desideri dei conservatori statunitensi e dei grandi petrolieri americani in Italia rappresentati da Giulio Andreotti e Francesco Cossiga che, dopo la morte di Moro, ebbero una folgorante carriera e condannarono l’Italia alla “sudditanza” agli USA. Moro sente che uomini di primo piano del suo stesso partito “assecondano” la sua morte trincerati dietro “la ragion di Stato” e lo scrive in una delle ultime lettere che fanno da leit motive dello spettacolo: “Il mio sangue ricadrà su di voi, sul partito, sul Paese. Chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato, né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno voluto veramente bene e sono degni di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore”. Il racconto scenico parte dai fatti del 16 marzo 1978 quando fu rapito Aldo Moro e furono uccisi gli uomini della scorta: Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Oreste Leonardi. Raffaele Iozzino, unico membro della scorta che prima di morire riuscì a sparare due colpi di pistola contro i terroristi, era di Casola di Napoli e proveniva da una famiglia di contadini. Raffaele, alla Cresima, aveva avuto in regalo dal fratello Ciro un orologio con il cinturino in metallo. Ciro, quella mattina del 16 marzo era a casa e casualmente, grazie al vecchio televisore Mivar, vide l’immagine di un lenzuolo bianco che copriva un corpo morto. Spuntava da sotto al lenzuolo soltanto il braccio con l’orologio della Cresima. Questa è l’immagine emblematica che ricorre più volte nelle video proiezioni, questa immagine è la radice prima del dolore di Ciro, protagonista dello spettacolo. Questo dolore diventa rabbia, e questa rabbia lo spinge a rintracciare il giudice Imposimato titolare del processo al quale chiede di sapere la verità. Sarà il rapporto tra Ciro e il giudice, strutturato su questo forte desiderio di verità, a rendere chiaro al pubblico che la morte di Moro e dei giovani membri della scorta furono è “assecondata” dai più alti esponenti dello Stato italiano con la collaborazione dei Servizi segreti americani.
Note di regia
“Un altro spettacolo su Moro? Non se ne può più.” – direte. Avete ragione. Più che di spettacoli sul caso Moro c’è la necessità di sapere la verità sulla sua morte. Questo nostro lavoro vuole prima di tutto contribuire alla scoperta della verità e alla sua divulgazione. E’ un pò altezzoso il fine ma le recenti scoperte e rivelazioni del giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Moro, vanno verso la costruzione di una chiara verità: Moro doveva morire. Le nuove rivelazioni del giudice Imposimato rappresentano la base contenutistica del testo che abbiamo scritto dove però le scoperte del giudice sono intrecciate con la vita di Iozzino, Ricci e Zizzi, tre membri della scorta. Raffaele Iozzino era il poliziotto che riuscì a sparare due colpi contro i terroristi. Domenico Ricci era l’autista di fiducia di Moro. Francesco Zizzi, era poliziotto ma soprattutto grande chitarrista e cantante di piano bar. Era al suo primo giorno di lavoro avendo sostituito, proprio quella mattina, la guardia titolare che aveva presentato un certificato medico. Nelle parole e nelle azioni di Ciro Iozzino, fratello di Raffaele, protagonista dello spettacolo, abbiamo voluto descrivere le ansie e la disperazione di un ragazzo del sud a cui strappano parte importante della vita.
Con la figura della mamma di Raffaele, continuamente evocata, abbiamo voluto far parlare la disperazione di una mamma che non riesce a darsi pace, una mamma che vede il figlio partire per servire lo Stato e che rimane ad aspettare la verità da più di trent’anni. Nello stesso tempo crediamo che questo lavoro contribuisca ad informare sulle “colpe” di Francesco Cossiga e Giulio Andreotti che “non hanno voluto salvare Moro”.
Ulderico Pesce
ore 21.00
domenica ore 18.00
lunedì riposo
durata 75 minuti
Incontro con Uledrico Pesce
mercoledì 26 novembre a fine spettacolo
Lo spettacolo proseguirà le repliche dal 2 al 14 dicembre al Teatro Lo Spazio di Roma
Biglietteria 06.77076486
diretto e interpretato da Ulderico Pesce
interventi in video del
Giudice Ferdinando Imposimato
Produzione Centro Mediterraneo delle Arti