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Enrico IV

12 – 24 febbraio 2019

di Luigi Pirandello
adattamento e regia Carlo Cecchi

Lo spettacolo

Carlo Cecchi dopo i memorabili allestimenti di L’Uomo, la bestia e la virtù (1976) e Sei personaggi in cerca d’autore (2001) si cimenta con un altro grande classico della tradizione pirandelliana, Enrico IV. I grandi ed eterni temi della maschera, dell’identità, della follia e del rapporto tra finzione e realtà vanno a comporre un’opera che è considerata una pietra miliare del teatro di Pirandello. Una tragedia vibrante, amara, di assoluta bellezza, che infrange gli schemi consuetudinari per attingere a una tensione interiore davvero universale e sfociare nella farsa. «Enrico IV fu scritto per Ruggero Ruggeri, il Grande Attore del primo Novecento. Dopo di lui, molti altri Grandi Attori si sono “cimentati” con questo monumento alla Grandattorialità» – afferma Carlo Cecchi, che in questa versione ha ridotto drasticamente molte delle lunghissime battute del Grande Attore, dando rilievo ad altri personaggi che spesso sopraffatti dal peso delle battute del protagonista, rischiavano di perdersi. «In alcuni ho tradotto la lingua dall’originale in una lingua teatrale a noi più vicina – continua – e ho fatto della follia e della recita della follia di Enrico IV, che nell’originale ha una causa clinica un po’ banale, una decisione dettata da una sorta di vocazione teatrale». Un classico smontato e rimontato dove la pazzia, l’arte e l’immaginazione si impongono come unica realtà, uno spettacolo in cui a trionfare è il teatro nel teatro, e il teatro, unico vero protagonista.

 

NOTE DI REGIA

Si recita con Pirandello e anche contro Pirandello. Si prendono alla lettera la famosa formula “teatro nel teatro” e l’altrettanto famosa  opposizione “finzione/realtà” e le si spingono oltre l’asfittico dibattito “vita/forma” verso un gioco di specchi in alcuni casi vertiginoso.
Si recita anche contro Pirandello, quando il contenuto e/o la forma della sua “tragedia” regrediscono ai luoghi comuni del teatro naturalistico della fine dell’Ottocento (per esempio: “la commozione cerebrale” come causa della pazzia del protagonista; o l’intero terzo atto che Pirandello precipita in un confuso e melenso melodramma con tanto di “catastrofe” finale).
Questo doppio gioco con l’autore e con la pièce – doppio gioco che prende Pirandello molto sul serio, e lo affronta criticamente – conduce “la tragedia”  a uno spettacolo il cui tema è il teatro, quello di oggi: specchio frantumato che riflette la vita della nostra epoca che è (citando Beaudelaire) “un deserto di noia” con “oasi d’orrore” che crescono e sempre più si moltiplicano nel mondo. “Enrico IV” fu scritto per Ruggero Ruggeri,  “grande attore” dei primi decenni del Novecento di stile liberty e di scuola dannunziana (pare che stesse recitando “Amleto” quando Pirandello pensò di scrivere per lui Enrico IV: un Amleto moderno!!!). Dopo di lui, tutti i “grandi attori” si sono “cimentati” con questo ruolo, fino agli ultimi superstiti. Esso è infatti un lungo, sterminato monologo, dove la funzione degli altri personaggi si riduce spesso a quella di dare la battuta al “grande attore” perché possa continuare il suo estenuante monologo. Ho ridotto drasticamente la parte di Enrico IV, dando in questo modo spessore drammatico agli altri personaggi, così da permettere un gioco di insieme.

La prima scena, quella dei consiglieri, immette immediatamente nel teatro: si tratta infatti di un provino che i tre fanno al nuovo arrivato; si gioca fra Pirandello e l’improvvisazione, entro dei limiti che non la conducano a quel teatro gratuito, arbitrario, delle cosiddette “attualizzazioni”. La scena dei Signori in visita è all’apparenza più “canonica” – ma “il canone” viene continuamente spiazzato da irruzioni metateatrali, che alla fine riducono “il canone” a una lunga citazione. Il personaggio di Enrico IV riassume nella sua recitazione quella delle scene precedenti: “canone”, “citazioni”, “improvvisazione”, eccetera, esaltandoli e deridendoli nello stesso momento

Carlo Cecchi

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