Adattamento in trenta quadri del romanzo storico di Antonio Scurati, lo spettacolo ha una struttura circolare, che si apre con l’ultima battuta del libro per poi tornare a quella stessa fatidica frase pronunciata in Parlamento da Mussolini al momento di “addossarsi la croce del potere”: Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere. Senza offrire un concentrato dei fatti storici, il testo teatrale intende portare in scena una rappresentazione plastica ed espressionista dell’affermarsi del fascismo. «È una staffetta tra diciotto attori – spiega Massimo Popolizio – che, lontano da ogni retorica, porta all’attenzione del pubblico il ritmo incalzante di una scalata al potere, avvenuta in un momento di profonda debolezza di istituzioni e partiti». È una storia che non si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la Grande guerra, con l’impresa di Fiume, il basculare del paese verso la rivoluzione socialista, la reazione e il dilagare dello squadrismo, la rocambolesca Marcia su Roma (di cui nell’ottobre del ’22 ricorre il centenario) e l’inesorabile efficacia di una dottrina politica che si sottrae alle categorie di giudizio con l’azione violenta. Protagonisti ne sono il fondatore del fascismo almeno quanto i suoi comprimari, che sentiremo esprimersi in terza e prima persona, Marinetti, D’Annunzio, Margherita Sarfatti, gli antagonisti Nicola Bombacci, Pietro Nenni e Giacomo Matteotti (colto anche nella commovente relazione epistolare con la moglie Velia), Italo Balbo, gli smobilitati della Grande guerra e tutta una nuvola di individui venuti dal basso. Protagonista è l’intera comunità nazionale, “il paese opaco”, quasi che il fascismo non sia “l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato”.