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GIACOMO – Un intervento d’arte drammatica in ambito politico

Un intervento d’arte drammatica in ambito politico

dai verbali delle assemblee parlamentari del 31 gennaio 1921 e del 30 maggio 1924
progetto Elena Cotugno e Gianpiero Borgia
parole di Giacomo Matteotti con interruzioni d’Aula
drammaturgia di Elena Cotugno e Gianpiero Borgia
ideazione, coaching, regia e luci Gianpiero Borgia
con Elena Cotugno

Lo spettacolo

Giacomo Matteotti [22 maggio 1885 – Roma, 10 giugno 1924] è stato il segretario del PSU dal 1922 al 1924, prima della presa del potere da parte del regime fascista in Italia. Fu studioso di diritto penale e di pubblica finanza; organizzatore di leghe bracciantili, amministratore e sindaco di alcuni comuni del Polesine, deputato per tre legislature. Apostolo di verità e di ragione, esempio di coraggio morale e fisico, morì il 10 giugno 1924, a 39 anni, per mano di una banda di fascisti per ordine di Benito Mussolini.
Giacomo vuole porre in risalto il discorso politico di Matteotti, mettendo a confronto due dei suoi interventi in Parlamento: quello del 31 gennaio 1921, in cui denuncia le connivenze tra le forze politiche borghesi e le squadracce fasciste, e quello del 30 maggio 1924, l’ultima seduta a cui Matteotti partecipò prima di essere assassinato, in cui contesta i risultati delle elezioni dell’aprile di quell’anno.
Questa tragedia, politica e antispettacolare, consiste nella riproposizione delle parole di Matteotti nella loro nuda e terrificante verità.
I principali temi sui quali il lavoro invita a riflettere sono il senso della militanza politica, i diritti di cittadinanza, la possibilità di opporsi alla violenza fascista con il richiamo ai valori di libertà e democrazia, ma anche il ruolo del teatro nella società, in un modo in cui gli ideali diventano opera d’arte.

 

Il ritratto storico

■ Il 31 gennaio 1921: Giacomo Matteotti denuncia le violenze fasciste; ammette che anche dalla sua parte ci sono state azioni violente: «può essere avvenuto che la teorizzazione della violenza rivoluzionaria, che mira a sopprimere lo Stato borghese, e a sostituire lo Stato socialista, possa avere indotto taluni nell’errore di azioni episodiche di violenza»; e conclude con l’attacco al Partito fascista: «Oggi in Italia esiste un’organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione e nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi. È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile». Accusa di complicità «di tutti questi fatti di violenza» anche l’allora presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, che lo interrompe seccamente.

■ Il 30 maggio 1924: è la prima riunione della nuova Camera, chiamata ad approvare il risultato delle elezioni dell’aprile precedente (le ultime multi-partitiche, svolte con la legge Acerbo, proporzionale con premio di maggioranza). Il neo presidente dell’assemblea, Alfredo Rocco, propone a sorpresa la convalida in blocco dei deputati eletti per la maggioranza. Le opposizioni sono spiazzate.
Matteotti interviene a braccio, raccoglie le sue poche carte e chiede di parlare. Contesta la validità delle elezioni, dice che si sono svolte sotto la minaccia «di una milizia armata» al servizio del capo del governo. «Va a finire che faremo sul serio quello che non abbiamo fatto» intima Roberto Farinacci a Matteotti. «Fareste il vostro mestiere», risponde lui. Conclude dopo un’ora, chiedendo di rinunciare alla violenza. A un collega che si congratula per l’efficacia del discorso replica amaro: «Però adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre». E qualcuno ha sentito Mussolini dire: «Quando sarò liberato da questo rompic… di Matteotti?».

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