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Dibattito “Memoria e testimonianza. Il posto dell’arte”

22 giugno 2015

Ideato da Jarosław Fret

Lo spettacolo

Auschwitz – diceva Theodor W. Adorno – ha dimostrato il fallimento della cultura, dell’arte, della trascendenza. È attorno a questa dichiarazione di sconfitta che, consapevolmente o inconsapevolmente, si è mossa l’arte del dopo Auschwitz, in un’inarrestabile movimento di svuotamento di tutte le forme e di negazione di tutte le rappresentazioni. Forse non è un caso che uno dei principali eventi cinematografici dedicati allo sterminio degli ebrei europei, Shoah di Claude Lanzmann, sia un film anti-spettacolare e aniconico, dove ogni possibile verità è depositata nell’urna della testimonianza orale e le immagini dell’orrore sono una ritorsione dell’invisibile sul volto dei testimoni, l’immagine di una desertica mancanza di immagini. Ma il lavoro della memoria non è mai concluso, l’attualità non smette di respingerlo contro se stesso così come la saturazione spettacolare continua a vanificarlo con la sua proliferazione di immagini e di immaginari privi di profondità. Il secolo XXI rischia di essere non il tempo della ricomposizione delle ferite del passato nella consapevolezza del presente, ma il secolo dell’oblio, del Lete, dove gli orrori si ripetono su scala globale mentre parole come memoria e testimone vengono banalizzate per restituire la scena ai professionisti della rimozione. In occasione della presentazione a Roma di Armine, Sister, la witness action che il Teatr Zar di Wroclaw ha dedicato al genocidio armeno – di cui quest’anno ricorre il primo centenario in concomitanza con quello della prima “grande” distruttiva guerra di massa europea e dei 70 anni della fine della seconda guerra mondiale – il regista Jaroslaw Fret ha chiesto ad alcuni intellettuali, scrittori, storici, uomini di teatro, di riunirsi attorno ad alcune domande semplici ed essenziali: possono l’arte e gli artisti farsi carico del compito complesso della testimonianza e, per parafrasare un verso di Celan, testimoniare per il Testimone? Può la testimonianza essere tradotta in forma, in azione, in una nuova ritualità di partecipazione? Può l’arte ritrovare la sua efficacia e la sua dignità come pratica di anamnesi?

Gli spettacoli

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