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Paranza, il miracolo

10 – 15 marzo 2015

un progetto di Clara Gebbia, Katia Ippaso
Enrico Roccaforte, Antonella Talamonti
regia Clara Gebbia ed Enrico Roccaforte
TRA CIELO E TERRA

Spettacolo vincitore de I Teatri del Sacro 2013

Lo spettacolo

Siamo in una grande città nell’Italia di oggi. Quattro individui si trovano per strada: un manager esodato, una donna malata in attesa di cure, una cantante di talento, una signora benestante ma terremotata. Sono i protagonisti di Paranza- Il Miracolo, spettacolo di pietas e di denuncia, di parola, canto, visione e passione, che si interroga con gli strumenti del teatro e della musica sulla condizione umana. Le vite dei personaggi sono colte in momenti diversi del tempo: prima della caduta, durante la caduta, dopo la caduta.

Perché Paranza? Questa parola, che significa “barca o associazione di barche che pescano insieme”, designa anche i gruppi di fedeli che vanno dai quartieri di Napoli e della provincia in pellegrinaggio alla Madonna dell’Arco. Spesso scalzi, portano sulle spalle una pesante statua e cantando e danzando si sottopongono a digiuni e fatiche fisiche per portare la richiesta di grazia alla Vergine. La Paranza che vedremo in scena è quella degli “aventi diritto” che si trasformano di necessità in “richiedenti miracoli”. Persone che hanno perso tutto ma attaccati alla loro umanità. Uomini e donne uniti da una speranza, dalla fede nell’umano, capaci ancora di esprimere bellezza, ironia, grazia, anche se questo significa passare attraverso il dolore, la follia, la rabbia, la malvagità. Una Paranza che parla, mormora, intona, canta. Per non rassegnarsi. Per ricordarci che siamo esseri umani. Con bisogni, diritti e desideri.

Note di regia – Clara Gebbia ed Enrico Roccaforte

Poiché la realtà sociale trasforma costantemente la vita degli individui, abbiamo voluto adattare di volta in volta la drammaturgia e la scrittura scenica ai cambiamenti del momento, raccontandoli in una laica rappresentazione fatta di parole e suoni. Dal punto di vista drammaturgico, abbiamo seguito una doppia esigenza: pur mantenendoci lontani dal realismo, volevamo parlare dell’oggi e trovare una verità nella finzione scenica che rendesse i personaggi concreti ma allo stesso modo universali ed emblematici di quello che rappresentano. Per questo si è scelto, sin dall’inizio, di rivolgersi a Katia Ippaso (drammaturga e giornalista), che per la compagnia ha fatto, da un verso, un lavoro di dramaturg, montando una partitura dialogica che, nell’invenzione dei personaggi e nella stesura del testo, si è ispirata ad alcuni fatti di cronaca tendendo conto anche delle improvvisazioni fatte con gli attori; mentre, dall’altro verso, ha scritto le liriche delle parti cantate usando qui un registro di matrice poetica. Le musiche sono composte e dirette da Antonella Talamonti. Dalla nostra prima produzione, Il Rosario, la musicista condivide con noi la ricerca di un percorso drammaturgico affidato in ugual misura alla parola teatrale e a quella musicale, in tutte le sfumature che vanno dal sussurro al canto. Le composizioni sono musiche originali, citazioni e trasformazioni che utilizzano suoni della cultura di tradizione orale e suoni di un mondo più contemporaneo. Un’importante fonte di nutrimento e di ispirazione sono gli anni di studio fatti con Giovanna Marini e il gruppo della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, e i viaggi di ricerca a cui anche noi partecipiamo. Durante questi viaggi assistiamo ogni anno ai riti della Passione, in giro per l’Italia, con sguardo antropologico. Ancora oggi uomini e donne si mettono in cammino e offrono in sacrificio fame, sonno e fatica al fine di mettere il corpo in condizione di superare i propri limiti e incontrare “l’oltre da sé”. Le processioni, i pellegrinaggi, le vie crucis, come le rappresentazioni teatrali sono riti in cui si organizza lo spazio, il suono e il movimento e si mette in atto una trasformazione del tempo che da ordinario diventa extraordinario. Quel che ci interessa di questo mondo è il modo in cui le persone decidono di mettersi insieme non per produrre o “per fare”, ma per condividere un dolore o per dare luce ad una speranza che da perduta diventa collettiva. Come Pasolini ci ha insegnato, nel nostro occidente in declino questi riti ci permettono di conservare la sapienza della condivisione e di organizzarci e ripensarci come società umana e solidale e non solo vittima di uno stato sociale debole, corrotto e in continua crisi.
I nostri quattro eroi del quotidiano danno vita ad una parabola pop mettendo in scena un miracolo senza Dio. Pur non cercandolo, recuperano il diritto fondamentale all’associazione che porta solidarietà tra gli individui; questa, perdendo i suoi connotati religiosi, per noi diviene “l’utopia necessaria degli esclusi” dentro uno stato laico.
Grazie al potere suggestivo e trasformativo della macchina teatrale, Paranza – Il miracolo vuole essere un viaggio attraverso cui proviamo a sognare un nuovo inizio.

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