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Le due parti dello spettacolo, quella documentaristico-storica e quella del racconto popolare originale, si alternano attraverso le voci e i movimenti degli attori, le immagini che scandiscono i vari momenti dello spettacolo. L'inizio è tutto dedicato ai giorni carichi di tensione e di paura che precedettero la notte tra il 3 e il 4 agosto. Il coprifuoco, l'ordine di sfollamento, l'arrivo dei profughi, le notizie sempre più frammentarie, ma anche pressanti sull'imminenza dell'arrivo delle truppe partigiane e alleate e il porsi in atto del progetto tedesco di distruzione dei ponti e di una buona parte delle costruzioni intorno a Ponte Vecchio, unico risparmiato dalla distruzione.
Vediamo il comandante delle truppe scelte germaniche fare il suo sopraluogo sui lungarni, pianificare cinicamente la distruzione di tesori d'arte e di abitazioni, ascoltiamo le proteste del console Wolf, grande amante di Firenze (poi insignito negli anni '50 della cittadinanza onoraria) che vengono ridicolizzate dalle ragioni della guerra, liquidate come irrilevanti anche quando quest'ultimo fa notare che non il Ponte Vecchio andrebbe semmai risparmiato, ma il ben più bello e importante Ponte a Santa Trinita, con le sue slanciate e pur solidissime forme rinascimentali. Ma il Ponte Vecchio, si sente rispondere il console, è il preferito di Hitler, è lui stesso che ha deciso di risparmiarlo, è un suo regalo alla città, e il fatto che sia architettonicamente meno bello e importante dell'altro non ha a questo punto alcun valore.
Vediamo poi alcuni notabili della città, tra cui l'Arcivescovo e il Podestà, adoperarsi in ogni modo affinché a Firenze sia riservato il rango di "città aperta", come già era stato per Roma, per risparmiare alla popolazione e ai suoi preziosissimi monumenti una guerra disastrosa combattuta tra le sue vie e le sue piazza. Il tentativo culmina con un incontro con il comandante militare tedesco che ha in mano la città e nel quale si capisce benissimo che le truppe germaniche non hanno alcuna intenzione di lasciare Firenze agli Alleati senza combattere. Il Colonnello Fuchs fa capire che l'esperienza della caduta di Roma che ha consentito agli alleati di attraversare il Tevere senza difficoltà mettendo in grave crisi i militari tedeschi, sta consigliando gli occupanti a agire ben diversamente rallentando il più possibile l'avanzata delle truppe anglo-americane.
Sullo schermo intanto passano immagini d'epoca: gli artificieri che piazzano le cariche di esplosivo sui ponti, i pattugliamenti in Piazza della Signoria, lo sfollamento dei quartieri colpiti dall'ordine di evacuazione.
È a questo punto che entra in scena Gina, popolana fiorentina, terrorizzata dal buio e capace di correre rischi inauditi per accaparrarsi qualche candela. Quello che all'inizio sembra il disbrigo di una semplice commissione si trasforma in una vera e propria odissea per le strade sconvolte di Firenze che si stanno vuotando di gente per l'imminenza del coprifuoco. Nessun negozio ha più candele, nelle chiese la situazione non è migliore e Gina si trova coinvolta in tanti piccoli episodi di una quotidianità resa eccezionale dallo stato di guerra, fino all'incontro con l'amica Giovanna, sfollata dal contado che si è letteralmente persa tra le vie della città. Ma Giovanna ha quelle candele che sono l'obiettivo per il quale Gina corre tanti pericoli e insieme, affrontano l'ultima parte del percorso. Gina che guida l'amica fino alla sua destinazione, Giovanna che in cambio cede le sue candele. Stremata la nostra protagonista arriva a casa quando ormai il coprifuoco è già più che operativo e la notte che si annuncia è gravida di pericoli.
Siamo al 3 agosto 1944, il sole è già calato, ma la temperatura è ancora altissima. È un'estate rovente e l'afa si fa ancora sentire nelle ore notturne finché sull'Arno non si sentono le prime tremende esplosioni.
Al racconto popolare di Gina, si sostituisce ancora la cronaca storica di quei giorni narrata dalle voci di alcuni dei suoi più importanti protagonisti tra le quali spicca il dolente e rabbioso ricordo di Pietro Calamandrei che descrive con lucidità e passione la vera e propria "tortura" che viene inflitta al Ponte a Santa Trinita che sembra non voler cedere all'esplosivo tedesco e per ben tre volte viene minato e fatto saltare prima che le sue flessuose ancate cadano nel fiume.
Segue la cronaca dei giorni seguenti, l'arrivo delle formazioni partigiani "di là d'Arno", l'arrivo delle truppe alleate, i preparativi per l'assalto alla città, l'organizzazione capillare del movimento antifascista cittadino per riprendere tutta Firenze dalle mani dei tedeschi che si sono asserragliati sulla linea della ferrovia oltre piazza della Libertà, e soprattutto "bonificarla" dalle decine di cecchini che i fascisti hanno disseminato sui tetti di tutti i palazzi del centro.
E all'alba dell'11 agosto la Martinella, la gloriosa campana di Palazzo Vecchio, suona il segnale dell'assalto e i partigiani, non appoggiati dalle truppe alleate che preferiscono temporeggiare, passano l'Arno all'altezza della pescaia Santa Rosa e cominciano una lentissima ed estenuante avanzata che si concluderà solo con la fine di Agosto quando i tedeschi si ritirano anche da Fiesole incalzati dalle truppe partigiane.
Il palcoscenico ora è per un altro personaggio popolare, frutto dei racconti diretti dei protagonisti di quei giorni. Il finale dello spettacolo trova al centro della scena Galliano Pruneti, partigiano proveniente dal contado chiantigiano e che è tra i primi a passare l'Arno quell'11 di agosto. L'attenzione si concentra sul suo sguardo di miope per cui i compagni l'hanno scherzosamente soprannominato Lince, che dinanzi alla distruzione del ponte a Santa Trinita si sente sopraffare da un dolore rabbioso verso chi non sa rispettare la bellezza e quindi non può sapere cosa sia il rispetto degli uomini e piange le sue lacrime di contadino per uno scempio che non avrebbe mai creduto neanche concepibile.
Siamo all'epilogo e sullo schermo dietro agli attori passano le immagini delle formazioni partigiane che sfilano per la città, volti di gente comune, armata e equipaggiata alla meglio che ha contribuito in maniera determinante alla liberazione di Firenze costituendo nei giorni seguenti un esempio di autogoverno unico nella storia della liberazione dell'Europa dal nazi-fascismo.
Le ultime parole sono ancora quelle di Pietro Calamandrei: "Questa fu la battaglia di Firenze che segnò una tappa decisiva, e forse un esempio unico, nella nostra guerra di Liberazione e nel nostro ritorno alla coscienza civile europea: una battaglia a corpo a corpo durata quasi un mese per le vie di una città, combattuta dal popolo insorto e comandata da un governo insurrezionale di magistrature cittadine, che gli alleati, quando giunsero, lasciarono con rispetto ai posti di comando saggiamente tenuti."
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