Grandi Pianure
Grandi Pianure
Immerso in un paesaggio teatrale rinnovato, molto dolce e molto poco perimetrato perché pieno di conversazioni sul possibile, il programma di GRANDIPIANURE per la nuova stagione del Teatro di Roma elude definitivamente l’idea e la forma di una rassegna, per cercare invece ubiquità obliquità vicinanze e riverberi, sempre in dialogo con quanto avviene prima e dopo e naturalmente accanto, nei diversi spazi collegati dal progetto e anche più in là. Afdata interamente al corpo, questa attitudine immersiva e pervasiva riguarda innanzitutto gli artisti coinvolti e i loro lavori ma ha una vocazione all’incontro, e cerca formati e pratiche che possano andare a tempo con diversi habitat, che sono poi modi diferenti di far durare l’emozione dell’incontro con il pubblico.
Il Teatro Argentina, il Teatro India e l’Oceano Indiano, il Palazzo delle Esposizioni sono tutte casse di risonanza di un’ampia traiettoria di attraversamento che si arrende finalmente alla prossimità di tutte le arti dal vivo e favorisce l’emergere di un discorso più ricco, aperto ad ogni luogo delle culture.
Apriamo e chiudiamo il programma nei teatri con Alessandro Sciarroni, novello Leone d’oro, prima con Augusto questo settembre all’Argentina e poi con Turning a maggio, lavoro appena nato e già cruciale. In febbraio sosteniamo la nuova produzione di Silvia Rampelli e poi il laboratorio di Ingri Fiksdal con venti performer locali per la messa in scena di Shadows of Tomorrow, oggetto coreografico misterioso e liquido, perfetto per la nuova funzione del foyer di India. A marzo Le Cercle di Nacera Belaza, che ofrirà anche un laboratorio a partire dalla tra-
smissione delle danze tradizionali algerine, e Caen Amour di Trajal Harrel, indefinibile e dolce vaudeville esotico che il pubblico può attraversare liberamente. In aprile Parete Nord di mk e ne sono molto contento. Dopo Turning a India ci sarà di nuovo Bufalo in giugno al Palazzo delle Esposizioni, appuntamento ai confini della performance con un programma ancora da chiudere definitivamente.
Questo, in sintesi, il programma. La coreografia – il mistero dell’articolazione della presenza del corpo allo sguardo – si è da tempo afrancata dalle formalità di genere ed è una chiave per dare all’arte dal vivo e quindi al corpo che agisce un ruolo centrale nella società. Possiamo insistere su questa centralità proprio perché il progetto è invece obliquo e trasversale, come dire che ricordiamo meglio un nome quando smettiamo di tentare di farcelo venire in mente. Sono il confine e l’esterno a generare l’interno e quanto più questo esterno è poroso tanto più l’interno è denso e chiaro. Una descrizione precisa del corpo di chi danza, sempre proiettato fuori da sé e sempre perfettamente stagliato all’orizzonte.
Michele Di Stefano